1° maggio 2020: Festa del lavoro. Giustizia, diritti e dignità per tutte e per tutti!
È il 28 febbraio quando Confindustria di Bergamo per tranquillizzare “i nostri partner internazionali”, diffonde un video “Bergamo is running”. Mentre Codogno è già zona rossa e i primi contagi all’ospedale di Alzano consiglierebbero quanto meno un atteggiamento di prudenza e precauzione per le vite delle proprie concittadine e dei propri concittadini – lavoratrici salariati e lavoratori salariati, gli industriali di Bergamo – guidati da Paolo Piantoni (e facciamoli i nomi, perché sono scelte), loro direttore generale, con una mano sul cuore e una sul portafoglio – mandano un messaggio dicendo che il rischio è basso, che l’Italia ha preso ampie misure di protezione, che la loro stessa associazione ha istituito un apposito team (associazione a delinquere) per “permettere alle imprese ed ai lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una percezione distorta che rischia di danneggiarci”. State tranquilli “le operazioni delle nostre aziende non sono contagiose”. “Bergamo is running!” è la conclusione del video. Guardatelo!
Dopo quattro giorni i contagi sono più di quattrocento, attualmente sono migliaia. Dopo un mese, in Val Seriana alle porte di Bergamo pochi chilometri di case e capannoni e da più di un secolo cuore produttivo della provincia di Bergamo, sono 100 i morti ad Alzano contro i 10 dello stesso periodo dell’anno precedente e a Nembro 120 contro 14. È una mortalità dell’1% dell’intera popolazione dei due comuni, più alta di quella riscontrata a Wuhan, in Cina, e più alta che in qualsiasi altra parte del mondo.
A Codogno dove, negli stessi giorni del video di Confindustria, è stato imposto il blocco totale c’è stato un abbattimento quasi immediato dei contagi.
Negli stessi giorni imprese e sindacati confederali redigono un documento congiunto per dire che “dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate”, scrivono Abi, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Legacoop, Rete Imprese Italia Cgil, Cisl, Uil (alleghiamo il documento).
Anche l’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, esclude l’istituzione di una zona rossa nel bergamasco: “Non riteniamo di gestire con ipotesi di zona rossa quella zona lì di Alzano Lombardo”.
Nel frattempo il malcontento operaio si è espresso con le prime proteste proprio nel bergamasco e i sindacati confederali metalmeccanici hanno subito puntato il dito contro la scarsa sicurezza in azienda.
Questa scelta segnerà le priorità della produzione e del profitto, per almeno dieci giorni. Confindustria nazionale e Confindustria lombarda faranno le barricate, con grave danno per la salute delle/dei lavoratrici/lavoratori, contro ogni tentativo di limitare la produzione.
“Le chiusure sono state imposte dalle proteste, dalla crescita dell’assenteismo e dal crollo degli ordinativi”, dice Eliana Como della Fiom-Cgil che è a Bergamo e che da fine febbraio invoca la chiusura totale delle produzioni non necessarie.
Solo dopo un mese e centinaia di morti, Cgil, Cisl e Uil lombarde hanno adottato una dichiarazione comune “Fermiamoci per la vita” prendendo in prestito l’invito della Croce rossa cinese.
A tutt’oggi il numero uno di Confindustria di Bergamo, Stefano Scaglia alla domanda sul perché del ritardo nella chiusura di focolai di contagio, quali sono la maggior parte dei luoghi di lavoro, afferma: “Pressioni? In una società complessa come la nostra ogni soggetto è portatore di una visione”, – che lui come possessore privato di capitale, capitalista, impone ai salariati.
E subito dopo “Oggi, per quel video, chiedo scusa. Mi scuso se ha urtato e se ancora urta la sensibilità di tante persone. È stato un errore, sì. Questa tragedia accomuna tutti, qui, nella bergamasca”. Sensibilità urtata? È capitalismo e lavoro come strage: i numeri che contano sono quelli del calo del profitto o del PIL non quello dei morti, che sfilano via con l’esercito che porta altrove le bare perché i forni crematori locali non riescono più a bruciare le salme. Ecco perché questa tragedia non ci accomuna tutte e tutti: ci sono mandanti e vittime, criminali e omicidi!
Ancora: in Italia, dopo i feroci tagli alla sanità pubblica, da anni la probabilità di prendersi un’infezione in ospedale è del 6%, la più alta in assoluto in Europa. Non sappiamo quante/i pazienti si sono presi il COVID-19 in ospedale, sappiamo invece che fra infermiere/i e medichesse e medici si sono contagiati in 18.000 e 175 sono morti (e manca il dato di tutte/tutti le/gli altre/i operatrici/operatori sanitarie/i!). Da 10 anni le regioni/province hanno nel cassetto i Piani contro le pandemie e la disposizione n. 1 dice “fate scorta di mascherine, guanti, tute protettive”. Nessuna “Azienda” Sanitaria lo ha fatto. Il personale sanitario che si ammala può tornare in servizio dopo due tamponi negativi, ma ogni regione o ospedale fa come vuole o può. Per le/gli asintomatiche/i che hanno avuto contatti senza mascherina con persone contagiate, a Bergamo niente tampone e si continua a lavorare; a Parma nel giro di 14 giorni ne fanno 3, a Padova 4. Senza il tampone positivo non scatta l’invalidità ed è semplice malattia e la legge contempla il taglio allo stipendio per i primi dieci giorni. Il personale contagiato a fine marzo in Lombardia è il 13%; in Emilia Romagna il 6,7%; in Veneto l’1,6%.
La gestione della sanità pubblica come “azienda privatizzata e privatizzante” ha evidenziato la messa in pratica di tutte le logiche del profitto, per le quali le/i lavoratrici/lavoratori-cittadine/i sono pura merce, oggetti senza diritti e nessuna effettiva dignità umana. Logica confermata dall’enorme numero di morti nelle RSA, dove le/gli anziane/i, le/i vecchie/i, le/i non più produttive/i in questa società sono scientemente lasciate/i morire senza cura, senza affetti e, a volte, con una scelta culturale e politica senza nessuna umanità. Nessuna fatalità.
C’è una serie di dati pubblicamente dichiarati la cui semplice enunciazione diventa impressionante denuncia: il lavoro come luogo di macelleria per le lavoratrici e i lavoratori: 17 mila morti dal 2009, 1.133 solo nel 2018 e 600 mila infortuni. Si muore come 40 e 50 anni fa.
Se questa è una strage, allora non chiamiamole “morti bianche” ma “omicidi”. Non è una fatalità: si chiama profitto capitalistico.
Dobbiamo aprire, preparare, portare in piazza una battaglia per una sanità pubblica, senza nessuna fiducia nelle rappresentanze sindacali confederali e nei partiti, organizzando, appena le condizioni lo permetteranno, un presidio-manifestazione a Trento per affermare, opponendosi, e imporre concretamente il diritto alla salute.
Lavoratrici e lavoratori, disoccupate e disoccupati, povere e poveri di tutto il mondo uniamoci!
Trento, 1° maggio 2020 Collettivo Be-Brecht