Sono presenti nel movimento delle posizioni che criticano un cristianesimo “di base” con una lunga storia, impegnato in basso a fianco degli oppressi e degli sfruttati.
Il nostro giudizio è che queste posizioni esprimano un settarismo incapace di considerare la necessità attuale di unirsi, ognuno con le proprie identità fuori da pretese egemoniche, contro il dominio del grande capitale.
Riteniamo totalmente inutile e asfittica la coltivazione di identità da setta, identità che in certi momenti verrebbe da chiamare tribali, di piccoli spazietti incapaci di incontrarsi e unirsi nella lotta.
Senza un grande movimento popolare è impossibile contrastare le aggressioni ai lavorator@, ai disoccupat@, agli student@ pover@ e ai pensionat@ pover@, a tutti quelli che vengono oppressi in basso dal grande capitale e dal suo blocco sociale e culturale.
Invidiamo sinceramente i fautori di queste polemiche per la loro fede crollista (crollo inevitabile del sistema capitalista), noi però pensiamo che ci sia un sacco di lotta culturale da fare per suscitare antagonismo e unità nella lotta contro il grande capitale e siamo avversi assieme ad altri da oltre 100 anni alla teoria che il capitalismo perirà per morte naturale.
Ci pare emerga da questo tipo di polemica un senso francamente comico della contraddizione, di quale sia quella principale e quella secondaria.
La contraddizione principale è oggi quella contro i padroni.
Tutti diversi e tutti uniti nella lotta contro gli orrori del dominio del grande capitale!
Pronti al dialogo critico nel reciproco rispetto con chi voglia farlo.
Pienamente d’accordo.
Il capitalismo non morirà di morte naturale e la lotta la si vince solo se tutti e tutte noi che stiamo in basso cessiamo di essere minoritari; e per cessare di essere minoritari è importante cessare di idolatrare la propria identità facendola degenerare in identitarismo e finendo per temere che l’associarsi con chi sta in basso insieme a noi significhi perdere qualcosa di noi e della nostra storia. Questo, mi sembra, è segno di subalternità culturale: il grande capitale vuole che noi accettiamo le reificazioni e le divisioni, che celebriamo tutti i feticismi di località e di micro raggruppamento identitario, che ne siamo perfino orgogliosi. Ma l’orgoglio di annoverarsi tra i pochi è l’orgoglio di annoverarsi tra gli inutili. La nostra storia è importante, certo, ma oggi più importante che raccontare la nostra storia è lo sforzo collettivo per scriverla la Storia.
Dalla loro unione gli oppressi hanno solo da guadagnare.