Considerazioni critiche sull’articolo di Michele Silenzi comparso sul Foglio di venerdì 11 agosto 2023 dal titolo LA RELATIVITÀ DELLA PACE e sottotitolato “Com’è banale Einstein quando parla di guerra. E com’è utile invece Freud che ci svela il motore della civiltà. Rileggere il loro carteggio alla luce del pacifismo d’oggi, della cultura woke e del moralismo dominante.”
*Abbiamo cercato il significato di cultura woke e abbiamo trovato questo: Woke, letteralmente “sveglio”, è un aggettivo della lingua inglese con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali.
ECCO I PUNTI PER NOI SALIENTI DELL’ARTICOLO:
Nel 1932 Albert Einstein scrisse a Sigmund Freud interrogandosi se ci sia un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra causata dalla loro aggressività e dalla “sete di potere della classe dominante”.
Einstein chiede a Freud: “Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione”?
L’autore dell’ articolo commenta: La bonaria e pericolosa banalità pacifista di Einstein ci interessa anche perché il verbo Einsteiniano è diventato il verbo condiviso dalla maggioranza delle “masse incolte”.
[NOSTRA ANNOTAZIONE: cui noi felicemente apparteniamo, ma non completamente incolte come piacerebbe all’autore dell’articolo]
Freud nella risposta arriva a dire, con un paradosso, che l’unica ricetta per eliminare la guerra è forse la guerra stessa e che quindi la guerra è sostanzialmente ineliminabile.
La civiltà è per Freud tutt’uno con l’aggressività. È grazie alla rinuncia all’aggressività che gli individui riescono a unirsi in società, ma quell’aggressività non scompare.
L’ “auto-repressione” dell’aggressività ad opera della civiltà crea le basi per la morale e per quel vero e proprio collante delle società civilizzate che è il senso di colpa.
Si genera così un senso di colpa che si fa via via più categorico ed esigente. Un apparato morale-coscienziale talmente sviluppato e rigoroso da infiacchire l’uomo e la sua capacità di agire. Fino al punto in cui , all’apice della civilizzazione, “la coscienza ci fa tutti vili”.
Questo estremo processo di incivilimento-addomesticamento incentrato sul senso di colpa noi lo verifichiamo giorno dopo giorno intorno a noi.
La cancel culture, la cultura woke, il moralismo dominante, la cautela verbale verso tutto e tutti, l’ecologismo apocalittico, e tutti gli altri fenomeni di generica tutela del prossimo da qualsivoglia esposizione al dolore non sono altro che il dominio del processo di civilizzazione.
Qui la guerra non è più il vero oggetto del discorso ma lo è il conflitto inteso in senso ampio.
Il processo di incivilimento-addomesticamento ha posto nella propria pressa morale il conflitto tout-court: bisogna disinnescare tutti i conflitti.
Ma senza il conflitto, senza la negazione, di cui il diavolo è archetipo per il cristianesimo, non c’è possibilità della dinamica necessaria alla vita , non c’è azione o attività, ci sono solo uomini ridotti a cose nello spazio intutile e ripetitivo di una pacificazione universale.
Questo discorso implica una necessità della permanenza del “male”, della pulsione distruttiva o in qualsiasi altro modo si voglia chiamarla.
Un processo di incivilimento che vuole liberarsi dal “male”, un male totalmente identificato oramai con ciò che genera dolore psico-fisico di qualsiasi natura, significa voler spingere il processo d’incivilimento fino a quel punto in cui l’uomo diviene mansueta cosa tra le cose.
Ecco il possibile esito finale dell’auspicata pace universale.
FIN QUI L’ARTICOLO SCRITTO DA MICHELE SILENZI
QUALCHE NOSTRA CRITICA:
Il punto fondante della civiltà non è liberarsi dal “male”, bensì la scelta di lottare per il bene dei più contro il male.
Il male e il bene ci sono e non si possono togliere, allora come dice un nostro sostenitore: facciamoli combattere!
Per farlo è necessario definire l’avversario. Noi lo definiamo come un sistema in cui 26 miliardari, accumulatori avidissimi, possiedono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, con annessa e connessa aggressione del pianeta comune.
Noi proponiamo e scegliamo la critica e il conflitto con questo sistema.
La morale non è pura “autorepressione” della naturale aggressività.
La morale è scelta. È scelta di confliggere, aggredire il male ben definito per salvare il bene ben definito.
La nostra morale è scelta di disinnescare i conflitti con i fratelli di classe e, con gli sfruttati uniti, confliggere contro gli sfruttatori.
Michele Silenzi afferma ripetutamente la necessità del conflitto per non sprofondare l’uomo a una vile condizione di mansueta cosa fra le cose.
Poniamo una domanda all’autore: conflitto contro chi e per salvaguardare chi e che cosa?
Per esempio, come noi proponiamo, tassare spietatamente i patrimoni e i profitti dei miliardari per una sanità, una scuola pubbliche di qualità, per un ambiente salvaguardato, per condizioni di lavoro e di vita degne per la maggioranza, per quelli che come noi stiamo in basso?
Oppure guerra ai poveri privatizzando i servizi pubblici, condannandoli a salari da fame, spingendoli a guerre fratricide per accaparrarsi nuovi mercati profittevoli, negando diritti sociali e civili?
Michele Silenzi è bene che lei chiarisca – e che tutti quanti si chiariscano – se si vuol fare la guerra alla povertà o la guerra ai poveri.
En passant, i figli dei ricchi è raro che stiano in prima linea, e cioè sotto il fuoco nemico, mentre il popolo sta fuori dai rifugi dei ricchi. La guerra ai poveri è fatta anche utilizzandoli come carne da cannone, mandandoli a morire in qualche guerra per difendere i ricchi di casa e/o i loro cugini ricchi di una casa alleata.
Michele Silenzi, la sua vaghezza storico-sociale ci fa pensare che le sue considerazioni siano piuttosto un furbesco occultamento che nasconde il suo essere un epigono interessato di quegli intellettuali italiani che più di 100 anni fa gridavano alla guerra come unica “igene del mondo”, scrivendo e parlando per persuadere le larghe masse popolari a diventare docili spiedini per il macello della Prima guerra mondiale.
NO GRAZIE
Per chi volesse leggere l’articolo integrale di Michele Silenzi comparso sul Foglio rimandiamo al link:
https://www.google.com/amp/s/www.ilfoglio.it/cultura/2023/08/12/news/la-relativita-della-pace-5587492/amp/
Seguendo il suggerimento di un nostro interlocutore abbiamo aperto un canale Telegram! Per dialogare e criticare le nostre proposte di critica alla cultura dominante vi invitiamo a iscrivervi: https://t.me/ControculturaSpazioapertoBBrecht
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Controcultura: Spazio aperto Be.Brecht
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Considerazioni critiche sull’articolo di Michele Silenzi comparso sul Foglio di venerdì 11 agosto 2023 dal titolo LA RELATIVITÀ DELLA PACE e sottotitolato “Com’è banale Einstein quando parla di guerra. E com’è utile invece Freud che ci svela il motore della civiltà. Rileggere il loro carteggio alla luce del pacifismo d’oggi, della cultura woke e del moralismo dominante.”
*Abbiamo cercato il significato di cultura woke e abbiamo trovato questo: Woke, letteralmente “sveglio”, è un aggettivo della lingua inglese con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali.
ECCO I PUNTI PER NOI SALIENTI DELL’ARTICOLO:
Nel 1932 Albert Einstein scrisse a Sigmund Freud interrogandosi se ci sia un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra causata dalla loro aggressività e dalla “sete di potere della classe dominante”.
Einstein chiede a Freud: “Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione”?
L’autore dell’ articolo commenta: La bonaria e pericolosa banalità pacifista di Einstein ci interessa anche perché il verbo Einsteiniano è diventato il verbo condiviso dalla maggioranza delle “masse incolte”.
[NOSTRA ANNOTAZIONE: cui noi felicemente apparteniamo, ma non completamente incolte come piacerebbe all’autore dell’articolo]
Freud nella risposta arriva a dire, con un paradosso, che l’unica ricetta per eliminare la guerra è forse la guerra stessa e che quindi la guerra è sostanzialmente ineliminabile.
La civiltà è per Freud tutt’uno con l’aggressività. È grazie alla rinuncia all’aggressività che gli individui riescono a unirsi in società, ma quell’aggressività non scompare.
L’ “auto-repressione” dell’aggressività ad opera della civiltà crea le basi per la morale e per quel vero e proprio collante delle società civilizzate che è il senso di colpa.
Si genera così un senso di colpa che si fa via via più categorico ed esigente. Un apparato morale-coscienziale talmente sviluppato e rigoroso da infiacchire l’uomo e la sua capacità di agire. Fino al punto in cui , all’apice della civilizzazione, “la coscienza ci fa tutti vili”.
Questo estremo processo di incivilimento-addomesticamento incentrato sul senso di colpa noi lo verifichiamo giorno dopo giorno intorno a noi.
La cancel culture, la cultura woke, il moralismo dominante, la cautela verbale verso tutto e tutti, l’ecologismo apocalittico, e tutti gli altri fenomeni di generica tutela del prossimo da qualsivoglia esposizione al dolore non sono altro che il dominio del processo di civilizzazione.
Qui la guerra non è più il vero oggetto del discorso ma lo è il conflitto inteso in senso ampio.
Il processo di incivilimento-addomesticamento ha posto nella propria pressa morale il conflitto tout-court: bisogna disinnescare tutti i conflitti.
Ma senza il conflitto, senza la negazione, di cui il diavolo è archetipo per il cristianesimo, non c’è possibilità della dinamica necessaria alla vita , non c’è azione o attività, ci sono solo uomini ridotti a cose nello spazio intutile e ripetitivo di una pacificazione universale.
Questo discorso implica una necessità della permanenza del “male”, della pulsione distruttiva o in qualsiasi altro modo si voglia chiamarla.
Un processo di incivilimento che vuole liberarsi dal “male”, un male totalmente identificato oramai con ciò che genera dolore psico-fisico di qualsiasi natura, significa voler spingere il processo d’incivilimento fino a quel punto in cui l’uomo diviene mansueta cosa tra le cose.
Ecco il possibile esito finale dell’auspicata pace universale.
FIN QUI L’ARTICOLO SCRITTO DA MICHELE SILENZI
QUALCHE NOSTRA CRITICA:
Il punto fondante della civiltà non è liberarsi dal “male”, bensì la scelta di lottare per il bene dei più contro il male.
Il male e il bene ci sono e non si possono togliere, allora come dice un nostro sostenitore: facciamoli combattere!
Per farlo è necessario definire l’avversario. Noi lo definiamo come un sistema in cui 26 miliardari, accumulatori avidissimi, possiedono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, con annessa e connessa aggressione del pianeta comune.
Noi proponiamo e scegliamo la critica e il conflitto con questo sistema.
La morale non è pura “autorepressione” della naturale aggressività.
La morale è scelta. È scelta di confliggere, aggredire il male ben definito per salvare il bene ben definito.
La nostra morale è scelta di disinnescare i conflitti con i fratelli di classe e, con gli sfruttati uniti, confliggere contro gli sfruttatori.
Michele Silenzi afferma ripetutamente la necessità del conflitto per non sprofondare l’uomo a una vile condizione di mansueta cosa fra le cose.
Poniamo una domanda all’autore: conflitto contro chi e per salvaguardare chi e che cosa?
Per esempio, come noi proponiamo, tassare spietatamente i patrimoni e i profitti dei miliardari per una sanità, una scuola pubbliche di qualità, per un ambiente salvaguardato, per condizioni di lavoro e di vita degne per la maggioranza, per quelli che come noi stiamo in basso?
Oppure guerra ai poveri privatizzando i servizi pubblici, condannandoli a salari da fame, spingendoli a guerre fratricide per accaparrarsi nuovi mercati profittevoli, negando diritti sociali e civili?
Michele Silenzi è bene che lei chiarisca – e che tutti quanti si chiariscano – se si vuol fare la guerra alla povertà o la guerra ai poveri.
En passant, i figli dei ricchi è raro che stiano in prima linea, e cioè sotto il fuoco nemico, mentre il popolo sta fuori dai rifugi dei ricchi. La guerra ai poveri è fatta anche utilizzandoli come carne da cannone, mandandoli a morire in qualche guerra per difendere i ricchi di casa e/o i loro cugini ricchi di una casa alleata.
Michele Silenzi, la sua vaghezza storico-sociale ci fa pensare che le sue considerazioni siano piuttosto un furbesco occultamento che nasconde il suo essere un epigono interessato di quegli intellettuali italiani che più di 100 anni fa gridavano alla guerra come unica “igene del mondo”, scrivendo e parlando per persuadere le larghe masse popolari a diventare docili spiedini per il macello della Prima guerra mondiale.
NO GRAZIE
Per chi volesse leggere l’articolo integrale di Michele Silenzi comparso sul Foglio rimandiamo al link:
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Per un dibattito aspettiamo i vostri interventi sul blog, perché ne rimane più certa memoria che qui su Facebook. (I proprietari del social network dopo un certo periodo possono cancellare le pubblicazioni, cosa che ci è già capitata).
Questo il link al blog
http://www.collettivobebrecht.it/
Tina Pica
C’era una volta la quotidianità ed il pop (della ideologia dominante) della quotidianità. I giornali, gli articoli così generici da sembrare innocui, le frasi ad effetto che destano gli animi al mattino giusto il tempo tra il caffè e la brioche: “fino a quel punto in cui l’uomo diviene mansueta cosa tra le cose”. Furrrrrrrbi! Ma voi di più. Fate bene, non desistite e persistete, a criticare nei singoli passaggi gli articoli di siffatta specie che, tanto per chiarire le cose, vanno dal Foglio al Manifesto. Rappresentano una parte subdola, penetrante, quotidiana che necessita di essere smontata e demistificata in un corpo a corpo di penna e riflessione critica. Non si tratta di lana caprina ma di portare alla luce, dietro i passaggi minuti, le grandi questioni e le grandi prospettive culturali e di pratiche, per contribuire a tenere sveglie le coscienze anche dopo la brioche. Grazie! Io vi leggo per imparare e fare.