Lesioni da botte alla testa, al volto, sul corpo, con la milza spappolata: così è arrivato un detenuto di 23 anni dal carcere di Venezia a quello di Verona. E dopo una settimana in terapia intensiva, al suo risveglio ha denunciato il pestaggio da parte degli agenti del penitenziario Santa Maria Maggiore di Venezia.
Ma chi e come istruisce gli agenti che lavorano in una struttura che dovrebbe essere – secondo la Costituzione uscita dalla Resistenza – rieducativa? E i loro dirigenti? E i direttori delle carceri?
Il giovane aveva dato in escandescenze e chiedeva di telefonare alla madre. Secondo la sua avvocata, Anna Osti, tre agenti lo avrebbero portato in una stanza dove «è stato trascinato per i capelli, colpito alla testa, a un orecchio e all’addome». Riportato in cella in sedia a rotelle, dopo una notte di lamenti senza soccorso, il giorno dopo il giovane è stato trasferito nel carcere di Montorio Veronese, ma non è chiaro chi abbia potuto certificare l’idoneità al trasferimento di una persona ridotta in quelle condizioni.
Infatti arrivato nel penitenziario di Verona è stato «portato d’urgenza all’ospedale Borgo Roma con fratture e un’emorragia interna in corso che lo ha costretto a un delicato intervento e a tre giorni di terapia intensiva»
Attualmente in Italia sono in corso 13 fra procedimenti e processi per presunte violenze e torture avvenute negli istituti di pena di Ivrea, Modena, Viterbo, Monza, Torino, San Gimignano, Santa Maria Capua a Vetere, Palermo, Nuoro, Bari e Salerno. Procedimenti e processi che rischierebbero di naufragare, se venisse riformata la legge sulla tortura.
Questa è la realtà carceraria oggi in Italia. Ed è inutile girarci intorno: non rieduca, non riabilita, non cura. E in questa realtà è fin troppo facile sentirsi soli e dimenticati. Uno stato d’animo che deve aver investito anche l’uomo di 45 anni nordafricano che ieri si è impiccato nella sua cella di Prato. È il 21esimo dall’inizio dell’anno.
Vergogna
Un ragazzo di 23 anni in stato di angoscia e agitazione che chiede di telefonare alla madre e viene pestato a sangue da parte degli agenti si chiama sopraffazione del più debole, vile abuso di potere, ferocia degna delle SS. Una negazione e un pestaggio del genere è figlia della viltà e del sadismo, inammissibile in agenti di uno stato che si definisce “democratico”.
In queste realtà carcerarie rischiano di finire alcuni manifestanti che nel 2016 protestarono contro la costruzione di un muro anti-migranti al Brennero. Una lotta degna per i diritti umani, soprattutto dei più deboli.
Per questo anche noi saremo in piazza sabato prossimo a Trento alle ore 15 (partenza da Sociologia) a dire no a questa vergogna e in solidarietà al popolo palestinese che subisce da anni carcerazioni di massa senza processo, ghettizzazione, torture e ora un orrendo genocidio da parte del governo e dell’esercito israeliani.
Invitiamo tutte e tutti a unirsi al corteo.Seguendo il suggerimento di un nostro interlocutore abbiamo aperto un canale Telegram!
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