ALESSANDRA KOLLONTAJ UNA DEI NOSTRI!
UN GRANDE ESEMPIO
Le 4 puntate del nostro romanzo biografico in un’unica raccolta
Abbiamo pensato su suggerimento di una nostra amica e compagna di raccogliere in questo articolo tutte e 4 le puntate del romanzo biografico su Alessandra Kollontaj per chi non è riuscito a seguire passo passo le puntate, sperando di fare una cosa utile.
Forse pochi ne hanno sentito parlare ed è per questo che ve ne parliamo.
È sconosciuta persino nei circoli marxisti eppure fu l’unica donna nel governo di Lenin e la prima al mondo a ricoprire la carica di ministro.
Nacque nel 1872 a San Pietroburgo come Alexandra Michajlovna Domontovic, figlia di un’ ereditiera finlandese che aveva sposato in seconde nozze il nobile generale è proprietario terriero Domontovic.
A 21 anni si sposò contro il volere della famiglia con un ingegnere, Vladimir Kollontaj, da cui ebbe un figlio, Michail. Il matrimonio durò poco, ma grazie al marito Alexandra cominciò a frequentare le fabbriche, entrando per la prima volta a contatto con la realtà degli operai.
Subito si appassionò alla loro causa e decise di approfondire gli studi iscrivendosi alla facoltà di Economia all’Università di Zurigo, che dal 1867 fu la prima al mondo ad aprire i suoi corsi di laurea anche alle donne.
Mentre in Europa si faceva strada una socialdemocrazia volta al riformismo, Alexandra rimase fedele al marxismo rivoluzionario.
Tornata in Russia diviene sostenitrice del suffragio universale e della fondazione di un movimento delle lavoratrici.
Prendendo le distanze da ciò che chiamava “femminismo borghese”, Kollontaj era convinta che la cosiddetta questione femminile fosse inevitabilmente legata a quella di classe, e che non potesse esistere un movimento delle donne che non lottasse anche per sovvertire il sistema.
Nel 1907 Kollontaj si batté per la creazione di un settore femminile nel partito operaio socialdemocratico russo che si occupasse del triplo fardello che le donne dovevano sopportare, in quanto lavoratrici, casalinghe e madri.
Negli anni l’analisi critica della Kollontaj si concentrò su un aspetto piuttosto ignorato dalle suffragiste: il rapporto intimo tra i sessi.
Le gerarchie economico-sociali investono sia i ruoli all’interno della famiglia, assegnando alla donna la cura della casa e all’uomo il lavoro salariato, sia i ruoli sessuali. L’esempio più lampante della disparità di tipo sessuale all’inizio del ‘900 è per Kollontaj il vincolo della fedeltà, obbligatorio per la donna ma facoltativo per l’uomo.
La linea del movimento comunista sottovalutò la rilevanza sociale e ideologica di queste questioni bollando le sue teorie come estremiste.
Alle difficoltà dell’ isolamento culturale e politica in patria, si aggiunse la persecuzione politica dello zar, che costrinse Aleksandra a lasciare la Russia dal 1908 al 1917.
Scoppiata la rivoluzione Lenin la volle nel Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado e poi, conclusa la rivoluzione, commissaria del popolo per l’assistenza sociale.
In seguito la sua ostilità alla Nep la emarginò all’interno del partito.
Fu poi relegata alle missioni diplomatiche, dimostrando un’adesione formale e poco convinta al nuovo corso di Stalin.
Aleksandra morì nel 1952 in un appartamento dello stato a Mosca, poche settimane prima del suo ottantesimo compleanno, unica tra i membri del Politburo del 1917 ad aver superato indenne le Grandi Purghe del 1937-1938, insieme a Matvej Muranov.
L’istituzione che più di tutte Kollontaj criticava era proprio il matrimonio, che considerava una forma di “servaggio legale […] per conservare la sacra istituzione della proprietà” (nonostante lei stessa ne avesse contratti due, il primo con Vladimir Kollontaj e il secondo a 45 anni con un sottufficiale della marina ucraino più giovane di lei di 17 anni, Pavel Efimovic Dybenko).
Per quanto i matrimoni potessero essere fonte di oppressione e di subalternità, per molte donne degli strati poveri erano l’unica forma di sopravvivenza.
La lotta per il libero amore in una società classista aveva bisogno di rieducare le persone ad altri valori: il rispetto, la comprensione, l’autodeterminazione, la parità fra i sessi.
Aleksandra Kollontaj fu la prima a elaborare una concezione politica dell’amore, considerandolo non come una variabile soggetta allo spirito del tempo, ma come il fondamento stesso di quello spirito. E ne pagò un caro prezzo
TERZA PUNTATA
Alessandra Kollontaj UNA DEI NOSTRI!
UN GRANDE ESEMPIO
Romanzo biografico in 4 puntate
Nel 1923, ormai in esilio da un anno, la Kollontaj scrisse una lettera alla rivista Molodaja Gvardija (Giovane guardia) in cui immaginava di rispondere a un giovane lettore che le chiedeva che ruolo avesse l’amore nella società rivoluzionaria.
Il testo di Kollontaj comincia con un’amara constatazione. A 5 anni dalla vittoria proletaria, mentre tutti gli aspetti della vita cambiavano radicalmente, l’ “enigma dell’amore” veniva messo da parte.
Nell’entusiasmo dei primi anni di tensione, osserva Aleksandra, la morale si era orientata verso una sessualità più libera e meno condizionata, ma infelice. Un “Eros senz’ali”. Ora che però tocca costruire una nuova società a partire dalle fondamenta, questo Eros senz’ali che “non procura notti insonni, non annulla la volontà, non coinvolge la parte razionale della mente”, rende le persone misere.
Nel 1918 il governo rivoluzionario aveva tentato di fare seguito al cambiamento sociale approvando il codice della famiglia, che contemplava il divorzio, l’abolizione della potestà maritale (parificando così lo status giuridico della moglie e del marito) e il riconoscimento di tutti i diritti anche ai figli illegittimi. Nel 1920 la Russia fu il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto.
Nella lettera a Molodaja Gvardija, Kollontaj dice una cosa molto importante: ora che lo stato si prende cura di tutti gli aspetti economici e materiali che prima obbligavano alla contrazione di un matrimonio – inclusa anche la maternità, che sarebbe stata collettivizzata come tutti gli altri ambiti della vita – è nostra responsabilità ripensare l’amore.
Amare non è solo provare un sentimento bensì un’azione deliberata e le possibilità di compiere quest’azione sono largamente influenzate dalle condizioni sociali e culturali in cui viviamo.
Il mondo non è più “ciò che riempie il mio sguardo”, l’orizzonte finito che siamo in grado di vedere da soli, ma diventa “la possibilità di assistere alla nascita del mondo” attraverso gli occhi di chi amiamo.
Scegliere l’amore significa impegnarsi ogni giorno, assumersi delle responsabilità verso gli altri, prendersi cura di chi amiamo, lavorare su noi stessi.
L’Eros alato è un forma di tutela del benessere generale che non serve gli interessi dell’individuo o del nucleo famigliare, ma della collettività: più numerosi sono i vincoli affettivi, più l’amore è presente, maggiore sarà il sentimento di coesione e di solidarietà.
L’Eros alato “risveglia in chi ama le qualità interiori necessarie a costruire una nuova cultura, vale a dire la sensibilità, la comprensione, il desiderio di aiutare gli altri.
Kollontaj lo chiama anche “potenziale d’amore”: amando qualcuno, accogliamo in noi e nell’altro i suoi bisogni, la sua vulnerabilità. In una parola, ci prendiamo cura di lui. E la cura è qualcosa che si moltiplica, si riverbera nel bene che facciamo.
Nelle righe conclusive della sua lettera la rivoluzionaria esprime perfettamente la dipendenza reciproca tra agape e eros: l’esercizio quotidiano dell’amore ci sprona a migliorare e a incoraggiare chi è con noi a farlo.
La gioia dell’amore ci accresce, ci rende spiritualmente più ricchi e di conseguenza più vigili nei confronti del potere, più resistenti difronte all’abuso, più immuni alla tristezza
C’è da reclamare il tempo per vivere l’amore in modo autentico, per non relegarlo ai margini delle nostre giornate.
L’amore deve tornare a essere universalmente cura, quella cura che abbiamo demandato alle categorie sociali più fragili e marginalizzate rendendola un lavoro poco qualificato e disprezzato, per quanto disperatamente necessario.
L’amore non è uno stato di grazia o un obbiettivo lontano, è una pratica quotidiana di resistenza che ci ricorda c’è qualcosa di bello e di buono anche in una realtà difficile da cambiare. E soprattutto che se non possiamo cambiare la realtà, possiamo sicuramente cambiare noi stessi.
Per criticare le teorie di Aleksandra Kollontaj, lo psicologo (categoria fin dall’inizio volta al servilismo e all’omologazione) russo Aron Zalkind scrisse nel 1927: ” Temo davvero che con il culto dell’Eros alato non riusciremmo mai a costruire aeroplani.”
Ma a noi non interessa costruire aeroplani: interessa volare.
Nel prossimo ciclo di puntate presenteremo un altro femminile che ricordiamo e proponiamo come esemplare: INESSA ARMAND