ANNA BECHIS. UNA DEI NOSTRI! UNA FIGLIA DEL POPOLO

ANNA BECHIS

UNA DEI NOSTRI!
UNA FIGLIA DEL POPOLO
UN GRANDE ESEMPIO

La sua storia tratta da un’intervista diretta che le venne fatta.

Provengo da una famiglia operaia. Mio padre era capo alla Fiat Lingotto; capo, diciamo così, che aveva 25-30 operai alle sue dipendenze.
Sono nata a Volpiano in un paesino della provincia di Torino. Mio padre era socialista. Socialista da sempre si può dire perché ha preso parte a tutte le lotte politiche….
Sono nata nel 1913; era un periodo buono per la mia casa allora, mio padre lavorava, mia madre lavorava; dei miei fratelli uno era scultore, l’altro imparava da falegname.

Quando è andato su il fascio, ho dei ricordi molto dolorosi. Sono tutti ricordi d’infanzia, mi pare di vederli riaffiorare.
Una domenica sera i fascisti erano saliti a San Benigno, erano le famose squadracce che picchiavano e facevano di queste cose; sono andati vicino a mio padre e ad altri due operai e gli hanno chiesto di che partito erano. Gli altri, che avevano paura, gli han detto: – Ma noi siamo padri di famiglia…. – Invece mio padre gli ha detto: – Io sono socialista -. E così ha bevuto una bottiglia di olio di ricino.

Quando papà è venuto a Torino ha avuto un collasso perché non era un olio normale. Ricordo che il dottore diceva alla mamma: – Ma, sta perdendo i pezzi di intestino.
Mentre papà era ammalato, è stato quasi tre mesi a letto…. I fascisti hanno bruciato la cooperativa a Volpiano.
Ricordo la mia reazione, avevo forse 12 anni. Mi dicevano: non mettere la sciarpa rossa! Perché vai sulla piazza con la sciarpa rossa?…. Io sono andata a mettere la sciapa rossa e sono andata sulla piazza, perché volevo dimostrare che ero socialista.

Finita la malattia mio padre viene licenziato perché era sovversivo. Ai fratelli non davano più lavoro perché eravamo indiziati come sovversivi.
È stato un periodo veramente spaventoso della nostra vita. Ti dirò che la causa di tutto questo è stato proprio aver voluto tener fede a questi nostri principi.
Insomma…. sono venuta antifascista per forza, con un padre così.

Ho fatto le scuole fino alla sesta, più due anni di corsi integrativi a Torino.
Sono poi andata a lavorare in farmacia a Leinì, dalla dottoressa Gastaldi. Lì ho avuto un’altra famiglia, perché erano antifascisti; pensa che il papà, il professor Gastaldi, era socialista e andavamo sotto in cantina a cantare Bandiera rossa, io e lui.
Era il….1931; io avevo diciassette-diciotto anni.

[….] La mamma è morta…. L’han trovata morta in strada, morta di crepacuore; ha seguito la morte di mio fratello di 27 anni.
Io dovevo avere un bambino; avevo 22 anni e così ho passato questo periodo con mio padre molto ammalato, mio fratello ancora da sposare, con una bambina di 2 anni, l’altro che doveva nascere. Mancata la mamma ho dovuto fare così la madre di famiglia per tutti.

Mio padre è morto di malattia di cuore nel ’41, per tutte le cose e i dispiaceri passati.
Però quando è scoppiata la guerra d’Africa nel ’36 ha cominciato a farmi le chiacchierate, a dirmi questa storia di uguaglianza…. mi ha fatto conoscere due persone, Mattei e Trogolo, che poi è diventato il sindaco della liberazione.
Parecchie volte mi sono trovata a discutere con questi; non è che io fossi preparata politicamente, ho scelto la strada portata dal sentimento, per reazione contro le brutture che da bambina avevo viste e per le conseguenze che la mia famiglia aveva subite.

Poi è arrivata la guerra del ’40. Mio marito senza lavoro…. Non ti dico, è stato un altro periodo nero, brutto, brutto; papà ammalato muore nel ’41, in piena cognizione, e mi ricordo sempre che mi ha detto questa frase, ero vicino a lui: – Io ringrazio che ho avuto una figlia come te che mi ha capito, non solo, ma hai sopportato a volte anche delle conseguenze che erano solo colpa mia, ma ringrazio che tu capisci queste cose.

Venuto a mancare papà mi sono venuta a trovare isolata perché non sapevo a chi rivolgermi, e mi piaceva scrivere.
Non è che avessimo della preparazione politica, quella che possono avere i giovani d’oggi, perché non avevamo proprio niente. Io ricordo che il primo libro che ho letto e che sembrava già chissà che cosa, era La madre di Gorkij, letto clandestinamente perché….
Ho preso contatti con questi socialisti; però non è che facessimo delle azioni […] ci limitavamo ad ascoltare radio Londra.
Ogni tanto ci arrivava qualche manifestino da Torino che nelle fabbriche clandestinamente davano via e ci arrivava sempre tramite questo Viola che faceva il gasista […] Fino all’8 settembre.

Ricordo sempre che stavo scendendo le scale e stavo portando il bambino più piccolino a scuola e l’altra era già andata via. Arriva il gasista e dice… – Ti do una notizia, aggrappati alla ringhiera perché sennò cadi per terra.
-Cosa è successo?
E mi fa tutta la cronistoria della caduta di Mussolini. Senti, ho dovuto veramente aggrapparmi. Mi viene ancora le lacrime agli occhi e dicevo: – Ma perché non sei vissuto padre mio fino a questo momento….

[…] Io non pensavo che ci fossero tanti antifascisti nel mio paese, anche se lo chiamavano una volta un paese socialista. Però nessuno mai parlava; era tabù parlare di fascismo […] sono rimasta meravigliata dalla reazione dei volpianesi.
È scaturito fuori un gruppo di giovani che nella notte sono andati a prendere i fascisti che erano i responsabili del settore agricolo. Questi fascisti avevano mandato in Russia a combattere tutti i figli degli operai e dei contadini poveri ed avevano preso un sacco di soldi dai ricchi, imboscandoli attraverso questo sistema.
Allora, io ricordo che quella notte questo gruppo sono andati a prendere il caposettore e gliene hanno date, date proprio di santa ragione e ad un bel momento questo si è inginocchiato a chiedere pietà; cioè era un vigliacco. Lo hanno lasciato, non lo hanno massacrato.

Ecco, io ricordo tutto e poi…. I tedeschi, l’occupazione, l’8 settembre. Lì comincia la storia delle donne; abbiamo visto arrivare nei paesi tutti i soldati che cercavano di vestirsi in borghese per poter raggiungere le loro case. Ed allora ecco, lì proprio si può dire che è cominciata la mia attività, casa per casa ho chiesto dappertutto, dove sapevo….

Abbiamo iniziato in 5 o 6 donne questa raccolta di indumenti, non ti dico quanta gente abbiamo vestito.
Andavamo ai mulini a chiedere pane; siamo andate dalle macellerie a farci dare carne per far mangiare questi giovani.
Non posso dire che nel ’43 ero già partigiana, però nelle case ci trovavamo, le discussioni che si facevano era di aiutare questi gruppi di sbandati.

Intanto si è cominciato a costituire le formazioni partigiane.
Io ho sempre avuto la mania di scrivere; i partigiani del posto sapevano, dicono: – Tu devi cominciare a scrivere.
Io, ricordo, comincio a scrivere dei manifestini che poi non potevamo battere a macchina perché la macchina non ce l’avevamo. Scrivevamo in stampatello: “Italiani, l’ultimo quarto d’ora è suonato”.
Quell’ “Italiani, l’ultimo quarto d’ora è suonato” l’avrò scritto 50 volte, perché era sempre l’ultimo quarto d’ora e non arrivava mai.

Poi sono entrata nella brigata Spartaco II, che era la brigata che dalla pianura di Volpiano andava fino alla montagna alla 4a divisione Garibaldi dove c’era Nicola Grosa, dove c’era “papà Andrea”.
Poi c’era tutta una serie di giovani che però credeva in me. Sapevano che io avevo veramente sentimenti antifascisti.
Cominciavo così la spola. E così in ogni paese, avevo il gruppetto delle compagne, mi venivano segnalate….

Per cominciare il lavoro con le donne abbiamo costituito anche lì i Gruppi di difesa.
Ero già entrata nella formazione partigiana ed ecco la metamorfosi. Portos Truetti, era l’intendente della terza zona, tesoriere lo chiamavano, e allora lui era sempre a casa mia, ed era comunista. Il primo grande incontro con il partito comunista, l’ho avuto lì; perché mio papà era un socialista incallito sai e non voleva saperne dei comunisti perché diceva che era la bassa plebe.
Poi conosco Portos, che era un ragioniere, un ragazzo d’oro, e continuava a dirmi: – Ma guarda Anna che il comunismo….
Nel partito comunista sono poi entrata nella fine del ’44, non è che fossi entrata prima.

Poi ho conosciuto i partigiani “papà Andrea”, Silvio Valle, quando venivano giù dalle montagne, venivano a casa mia. La mia padrona di casa aveva il figlio nei partigiani, per cui dovevano passare prima davanti a lei per arrivare a me, e allora diceva: – Stai tranquilla che se arrivano qua, botte nei muri, tu capisci e li fai saltare dal terrazzo.
Vedi dal terrazzo saltavano giù e c’era la Piccola casa della divina provvidenza, il Cottolengo, e le suore due volte gli hanno aperto i cancelli ai nostri partigiani e li hanno ricoverati lì.

Avevo un compito molto difficile, perché Portos mi aveva presa con lui. Dovevamo preparare tutto il necessario per la brigata; molto ben organizzata. Valentino e Zabarella erano con me. Zabarella era il figlio del maresciallo dei carabinieri che è poi stato deportato a Mauthausen e non è più ritornato, perché era antifascista. L’altro era il figlio di un capitano dei bersaglieri cieco, di Volpiano; due ragazzi valorosissimi ma mezzi matti che me ne hanno combinato di tutti i colori.

Dovevamo sempre partire assieme per requisire.

Per esempio. Un giorno viene giù Andrea e dice: – Senti Anna, noi abbiamo bisogno di un binocolo grosso, enorme, perché ci capita che i fascisti e i tedeschi ce li troviamo di fronte, camuffati; li crediamo dei nostri e invece succede una tragedia.
Allora dice: Voi dovete andare alla Microtecnica (in via Roma, c’era la Microtecnica una negozio stupendo), requisire un cannocchiale prismatico -. Mi ricordo sempre il nome «prismatico». Non sapevo cos’era un cannocchiale prismatico.
Dice: Date a loro i buoni di requisizione -.

Partiamo tutti e tre, loro salgono a San Benigno e io salgo a Volpiano. Facevamo finta di non conoscerci. Era il periodo che era uscito il famoso bando: «Chiunque viene trovato in possesso delle armi viene fucilato sul posto». Arriviamo alla stazione Dora, i tedeschi bloccano la «canavesana», salgono lì sulla vettura, ci hanno buttati tutti in fondo e perquisivano uno per uno. Io, tranquilla, avevo una borsa normale con niente dentro.
Quando vedo che Valentino mi fa con le mani il gesto che aveva la pistola. Senti, mi sono sentita morire! Le avevano tutti e due, ’sti disgraziati. Ho detto: Qui bisogna vedere come fare per salvarli.

Cosa potevo fare, dimmelo! Io avevo… si portavano quei soprabiti alla saariana, con le tasche tagliate cosi, un soprabito di cammello, ero tutta elegante… Allora avvicino un tedesco, quello che perquisiva. Tentiamo la sorte, fai la civetta -. Potevo permettermelo magari un po’ di più di quello che posso permettermelo adesso. Vado e dico: -Io niente borsa, niente bombe, – e mi metto a fare un po’ la sciocchina così. Lui guarda la borsa e mi dice: No no…
E allora io comincio andare vicino ai tedeschi. Valentino e Aldo, man mano che perquisivano, andavano ogni volta più indietro e gli altri davanti. Passo vicino a loro e faccio cenno nella tasca; passo da Aldo e mi mette la pistola e i tesserini di requisizione nella tasca; poi torno, in mezzo ai tedeschi, facendo tutto il gioco di una donnina leggera, mi spiego, perché se no non potevo fare quello.
Poi passo dall’altro e, pensa, che la pistola era abbastanza grossa, ho dovuto tenerla con la mano sopra cosi, perché il calcio usciva fuori dalla tasca; roba da pazzi! Ma non so se era coraggio, era incoscienza. Ma in quel momento ho visto solo la disperazione di due madri; perché li fucilavano, con i buoni di requisizione e le armi.

Dopo vado vicino ai tedeschi con le mani sui fianchi e dico: Io scendere a stazione Dora. No, Porta Susa, -dice.
No, io Dora, io andare in via Bra -. È vero che abitavo in via Bra.
Sento che parlottano. Unica sono scesa alla stazione Dora.

Lì, proprio di fronte, c’era un ristorante e avevamo un recapito lì. Sono arrivata con le due pistole e i buoni di requisizione, mi sono seduta.
Arriva il principale e mi dice: -Sei livida, cosa è successo?
-Dammi qualcosa di forte da bere.
-Cosa c’è?
-Aldo e Valentino erano armati.
-Ma disgraziati non si deve prendere il treno…
-Ormai le due pistole le ho io qua, tutte due.
Loro sapevano che lì c’era un recapito, e finita la perquisizione, dopo un’ora, un’ora e mezza, sono tornati indietro.
Ad ogni modo dopo siamo andati lo stesso alla Microtecnica; loro non volevano più andare: -Ah, dopo un’esperienza cosi.
Siamo andati. Io sono entrata dentro e loro sono restati fuori. Arrivo li, quel direttore tutto pelato, tutto ossequiante mi dice: -Cosa desidera? -Un cannocchiale prismatico… -Ah, ma si fanno le crociere, perché quello è da marina.- Ma, mi faccia vedere..
Avevo fretta perche’ sai la fifa era… e tiro fuori il mio buono di requisizione. Dico: Io sono una partigiana, ho bisogno di quello. Qui attorno ci sono cento partigiani, se io non esco viva, stanotte la Microtecnica salta in aria.
È la forza della disperazione che fa fare queste cose. Lui mi ha incartato ’sto binocolo con degli insulti a non finire: -Ma non poteva fare un altro lavoro una bella ragazza come lei, non fare la puttana in mezzo ai partigiani -.. Mi ha insultato in tutti i modi.

Questo è un episodio.
Tre o quattro giorni dopo mi mandano a chiamare alla formazione: guarda che è successa una cosa molto brutta. I nostri partigiani avevano chiesto che non si aprisse la caccia perché poteva dar adito a degli sbagli. Dei nostri partigiani sono partiti, sono andati nei boschi tra Chivasso e la cascina Cerello; sono andati per caccia assieme a dei macellai granosi [gente che ha soldi]; non hanno osato dire di no perché erano di quelli che fornivano la carne alla formazione.

Il guardiacaccia della cascina Cerello li ha visti passare e ha capito che erano partigiani e telefona alla brigata nera del posto di blocco di Chivasso. Tre riescono a scappare, uno lo prendono; aveva dei pantaloni che adesso li chiamerebbero «Blue jeans», stretti, di cotone, e aveva in tasca la pistola e il tesserino partigiano. Mentre cercava di buttare via la pistola… la tasca stretta… Lo hanno trovato con la pistola in mano, il tesserino da partigiano e lo hanno portato alla brigata nera di Chivasso e poi in via Asti.
Doveva essere fucilato, lì dove hanno fucilato Gardoncini.
Io avevo detto a papà Andrea: -Io non mi interesso, non vado a vedere.
Mi dice: – Questa è un’azione… tu devi fare la parte della fidanzata e devi veder cosa si può fare per salvarlo, è un ottimo partigiano e non possiamo… – Non accettavano scambi e noi in montagna avevamo solo due o tre della brigata nera di Mantova che avevano preso a Pian Audi.

Allora lui ha mandato a chiamare la mamma e la sorella di lui, e me le ha mandate in casa. – Signora ci aiuti, Plinio lo ammazzano, non c’è niente da fare -. La sorella era già andata a vedere, era già stato condannato a morte.
Allora parto, perché mi hanno fatto pena, sono sempre nata stupida, tutta la mia vita è basata… non so dire di no.
Vado in via Asti e chiedo del capitano Ferrero. Il capitano Ferrero non c’era e mi mandano dal capitano Alessandro – guarda, ricordo i nomi.
Dice: -E lei chi è?
-lo sono la fidanzata di Rogin Plinio.
Manda a chiamare informazioni: -Non c’è niente da fare; è stato sorpreso mentre voleva sparare, con il tesserino da partigiano.
-E io che faccio? Fate uno scambio.
-No, no non trattiamo più scambi.
lo dico: -Ma se voi siete tanto gentili da darmi la vita di lui salva, io vado in montagna a cercare uno dei vostri; non ho paura, non mi ammazzano mica; io non sono responsabile di questo stato della guerra -. Così ho fatto la commediante

Questo qui mi propone: Guardi, c’è stata una battaglia alle porte di Collegno, quel capitan Tempesta, ce ne ha portati via cinque o sei dei nostri, te la ricordi la sparatoria di Collegno?
-E chi è il capitan Tempesta? figurati se io non lo conoscevo.
Dice: -Si chiama Gino Castagneri.
-E dove lo posso trovare?
-Eh, li nei posti di Fiano, Varisella, è lì che lui…
-Va bene, io ci vado, però voi datemi la parola d’onore che sospendete l’esecuzione, perché se io ci metto quattro o cinque giorni per andare a cercare quelli lì e poi vi porto notizie…

Ottenuto un lasciapassare; io dovevo andare sulle montagne a cercare gli ostaggi che erano stati prelevati da Gino Castagneri, «Capitan Tempesta » ecc. per fare cambio con la vita di questo. Alla sera a casa è arrivato Andrea e tutti gli altri, passando dalla porticina.
-E adesso fate la vostra parte.
-Non so se Gino Castagneri ce li dà…

Partono e vanno a Pian Audi e li trovano «Pierin d’ la Fisa» e dice: – Ce l’ho un prigioniero delle brigate nere, preso da poco, un giovane di diciannove o vent’anni e ve lo do; portatelo giù all’accampamento, vedete un po’ -. Lo mettono nell’accampamento di Bosconero e io parto da Volpiano e vado a vederlo.

-Guarda Anna, questo è l’ostaggio, da Gino Castagneri non l’abbiamo trovato, vai a trattare le modalità dello scambio, avverrà a San Benigno; innalzano bandiera bianca, ci dànno Rogin Plinio e noi gli diamo questo qui della brigata nera di Mantova. – Va bene.

Parto per Torino.
Prima mi sono scritta una bella lettera: «per venire incontro alla signorina, ecc. ecc., vogliamo dimostrare che anche noi siamo sensibili e regaliamo un ostaggio… la signorina non è riuscita a trovare… ci ha trovati noi e siamo ben lieti di favorirla e di darle un ostaggio in cambio. Le modalità avverranno come la signorina… tal dei tali deciderà, ecc. ecc. Saluti garibaldini, viva l’Italia libera».

Arrivo e do la lettera, me l’ero fatta io, do la lettera al capitano Asario – ecco, non mi ricordavo più il nome.
Dice: – Il capitano Ferrero non c’è, è via per quindici giorni e lui è addetto allo scambio -. La terra mi bruciava sotto i piedi. Allora io:
– Senta capitano, ma questi giovani anche…
– Ma lei li ha visti quel Gino Castagneri… – Non l’ho visto, non l’ho trovato, mi han detto che hanno dei prigionieri, sono vivi, però io non l’ho trovato. Guardi, ho incontrato un altro che si chiama “Pierin d’la Fisa”, ha un giovane di diciotto anni della brigata nera e mi hanno detto così che se lei fa lo scambio ecc. ecc., sennò…

È andato bene che questo Rogin Plinio non era delle classi del ’23 e del ’24, era del ’14, o ’15 perché sennò sembravo una corruttrice di minorenni io, perché io avevo già qualche anno di più. Allora questo qui mi dice: – Allora signorina proprio per venirle incontro, se lei ha questo coraggio, vada di nuovo lassù, lo porti qui, noi qui faremo lo scambio.
Parto e ritorno all’accampamento di Bosconero. Andrea dice: – Tu sei pazza! Tu sei matta! -Gli rispondo: –
Abbi pazienza, veniamo su col calessino, portiamolo fino a Settimo, e poi lo portiamo fino in via Asti -. Allora io vado vicino al prigioniero e gli dico: – Lei ha capito chi sono io. – Si, signora ho capito, però giuro sul nome di mia madre che io dirò solo tutto quello che lei vuole, però le giuro sul nome di mia madre, se mia madre vivrà sufficientemente per benedirla ché in questo momento a me…. interessa la vita.
Era senza lacci delle scarpe, se tu lo avessi visto faceva proprio pietà.

Dice: -L’ho capito fin dalla prima volta che lei è stata qui che non era una fidanzata, che era una partigiana. -Va bene, però stia attento, perché guardi che lei non si salva, se io… se mi ammazzeranno, guardi che ammazzano anche lei.
-No, no, glielo giuro, – e li si è messo a piangere.
Me lo sono portato dietro sul calessino. Arrivo in via Asti, erano le sei di sera… Vado dal capitano Asario.
Questo suona un campanello, cosi in un attimo tutti i brigati neri mi han circondata.
E io gli dico: -Ma che cos’è ’sta messa in scena? – E lui: – Niente, signorina, questi le fanno il presentatarm… lei è una ragazza di coraggio. E adesso tutti noi andiamo a consegnarle il suo fidanzato.
In quel momento… senti, senti le mie mani sono gelate solo al pensarci perché, penso: «Quello non mi conosce, non ha mai saputo ch’io fossi la sua fidanzata, mi avrà visto due o tre volte».
Andiamo sotto in parlatorio; ci sono le sbarre che dividono le carceri. Lui era in carcere con, Peccei, non sapeva niente, non sapeva niente, solo la sorella gli aveva detto: – Faremo tutto il possibile per aiutarti -. Ha poi raccontato che quando sono venuti a prenderlo Peccei gli aveva detto: – Se te la salvi, finita la guerra vieni da me -. Difatti gli ha dato un posto molto bello alla Fiat, molto, – e se ti ammazzano sappi morire da bravo partigiano.

Lo vedo arrivare attraverso il cancello, quando aprono gli sono corsa incontro e gli ho detto: – Stringimi forte che sono la tua fidanzata, sei libero.

Lui, quando ne parlo mi viene ancora i brividi, mi ha stretta in un modo. Immagina una persona che crede di andare alla morte… insomma. Poi anche stringermi non era un peccato… E allora mi abbraccia e si mette a piangere; la reazione, sai come fa. E allora lì tutti a dire: – Quella lì ti metterà sulla buona via, sposatela subito, non lasciartela scappare.
E insomma usciamo. Arriviamo a Porta Susa, la canavesana era già partita.
Andrea aveva detto: – Ti aspettiamo fino al coprifuoco, se non ti vediamo è perché ti hanno presa e andiamo a fare una retata sull’autostrada per chiedere un cambio. Vai tranquilla che non ti lasciamo morire.

-Come facciamo? e Plinio: – Guarda, io ho i parenti alla Snia Viscosa, andiamo fino alla Viscosa a piedi e poi chiediamo le biciclette e ti portiamo a casa.
Io avevo un tailleur celeste, pioveva, pioveva, quel tailleur si è stinto tutto, sai quelle tele… che c’era durante la guerra; le gambe… tutta celeste ero.
Arriviamo li e i parenti volevano darci da mangiare e tutto. No, no niente, le biciclette e via perché se non arrivo prima delle dieci… e via.

Arrivo a casa. Passo dal solito portoncino. Attorno alla tavola c’era Andrea, c’era Truetti, c’era Piero, c’era Alberto, c’era Buc, c’erano nove o dieci. Mio marito aveva messo i bambini a letto e continuava a dire: – Me l’hanno presa, me l’hanno presa -. E loro: – No no, ha telefonato che arriverà domani mattina perché non c’erano più treni, non c’erano più treni.
Salgo le scale di corsa, senza batticuore come adesso, arrivo. Ero in uno stato… tutta blu. Mi chiedono: -Cosa hai fatto? – È libero, Plinio è andato a casa.

Tu avessi visto Andrea, guarda, una scena, una scena… è venuto ad abbracciarmi, stretta stretta e dice: -Guarda, io dovrei picchiarti, perché sei una incosciente, sei madre di due bambini…

L’indomani mattina è arrivata da me la madre e tutta la famiglia… e lui. Lui è venuto a dirmi: -Mia madre mi ha dato la vita e tu me l’hai ridata, proprio.
E cosi questo episodio è andato abbastanza bene. Purtroppo è stato l’ultimo perché poi mi hanno arrestata.

L’arresto è avvenuto così…. Ecco ero andata a «requisire» per la brigata, in un magazzino militare tedesco tante balle di stoffa perché dovevamo fare pantaloni e giacche perché sulla montagna avevano un freddo tremendo. In quel magazzino tedesco, io ho fatto il filo alla guardia, quel giorno lì avevo i capelli rossi, ho fatto il filo alla guardia, il tedesco è venuto fuori e sono saltati dentro
Insomma avevamo fatto il colpetto e abbiamo portato ’sta stoffa lì alla vecchia cooperativa e nel forno abbiamo nascosto tutte le balle di stoffa e volta per volta le tiravamo fuori.
C’era la sarta per uomo, una certa Viola che veniva a tagliarceli e poi c’erano sette o otto donne che lavoravano.

Sennonché oltre ai tedeschi sono arrivati a Volpiano anche i paracadutisti della Folgore e sono andati al municipio a chiedere una cuoca. Nel mio gruppo che lavorava c’era una ragazza. Non voglio accusarla di spia, ma l’accuso solo di dabbenaggine. L’han mandata a chiamare in municipio: – Tu sei senza lavoro, sei vedova da due mesi, hai il bambino, vuoi andare a fare la cuoca? Lei ha risposto: – Ma, ci penso.
È venuta da me: -Anna cosa devo fare?
-Ascolta, vai, stai attenta come avvengono i rastrellamenti, così io so sempre dove avvengono e avviso le brigate -. E fino a lì è andata bene. Sennonché lei è andata a letto con l’aiuto cuoco, e questo qui l’ha fatta parlare dicendole: – Io non voglio più stare qui, io voglio andare con i partigiani.
Dunque non è che ha fatto la spia per fare la spia, involontariamente ha detto: -Ma sai, se tu vuoi, la signora così e così ti fa portare su; noi facciamo questo lavoro, stiamo lavorando di sera per fare le divise…

Hanno fatto delle indagini e la notte dopo mi hanno arrestata, alle undici di notte.
Hanno arrestato mia figlia, la bambina e hanno arrestato mio marito. Il bambino dormiva e non si è neanche svegliato, però hanno fatto tabula rasa di tutto quello che c’era in casa di valore.

Mentre scendevo le scale ’sto sergente resta indietro e mi dice:
-Signora, si prepari un alibi per la faccenda di via Asti, si ricordi che l’avvocato Nega è quello che salva.- Orco che razza di parole che mi ricordo, sono cose che ti rimangono impresse.

Sulle sofferenze è meglio non parlarne, questo no. Mi han fatto subire un interrogatorio.
Cosa potevo fare? Dire che mio marito era d’accordo con me? No!
La ausiliaria si è presa mia figlia sulle ginocchia, ti puoi immaginare il mio stato d’animo, lo puoi immaginare? Non l’hanno toccata, non le han fatto niente.
Allora io ho detto: -Non so perché avete arrestato mio marito. Cosa c’entra mio marito, io sono l’amante di un comandante; mio marito va via a lavorare al lunedì e arriva al sabato e io lo ricevo quando lui non c’è, che cosa ne può lui se ha una moglie disgraziata?

Senti, io non so se tu credi a queste cose, in quel momento mi sono sentita mio padre vicino, come se mi desse una spinta.
Allora il maggiore Truccato si rivolge a mio marito e dice: – Allora lei passi dall’altra parte -. Però mio marito e la bambina hanno sentito le urla. Staffilate. Sai che le ho portate sulla schiena per dieci anni le staffilate?
Volevano naturalmente che svelassi i nomi del comandante e di coloro che dirigevano la resistenza in Canavese.
L’interrogatorio, veramente una cosa spaventosa (ne parlo per la prima volta in un’intervista) è durato tre ore, fino alle 6 del mattino.
C’era un dalmato che era chiamato “il boia”, che era proprio quello addetto a torturare; a staffilare senza pietà. Gli altri ridevano…. era come una scena.

Due di loro poi mi hanno accompagnata a casa. Mi reggevo a mala pena. Il dottor Garrone mi ha trovata in preda a uno shock…. e mi ha dato anche dei calmanti.
Il giorno dopo sono tornati a prendermi. Mi portavano e riportavano nel loro interno. Sono venuti 5 o 6 volte.
Ho passato 7 o 8 giorni che piangevo e ridevo, davo i numeri.

L’ultimo interrogatorio è successo questo.
C’era stata una rappresaglia e avevano fatto dei prigionieri a Prascorsano, vicino a Belmonte.
Uno mi guarda e mi dice: – Riconosci questi scarponi che ho nei piedi?
Erano gli scarponi che avevo fatto fare per “papà Andrea”; avevamo “requisito” la pelle in una conceria di Borgaro
-Andrea è morto, lo abbiamo impiccato sulla piazza di Corio, così impiccheremo anche te sulla piazza di Volpiano.

Ricordo molto bene la mia reazione in quel momento. Così: ho visto qualcosa di spaventoso, ho creduto che fossero stati presi, e in un impeto di rabbia, forse era disperazione, mi sono alzata e sono andata vicino a quel dalmata e strappando la fascia dal braccio dove era scritto: “Per l’onore d’Italia”, gliel’ho buttata sulla faccia gridando: – Sbrigatevi ad ammazzare perché non riuscirete ad ammazzarci tutti perché gli alleati sono a Bologna!

Il dalmata mi ha sferrato un calcio all’inguine e sono svenuta. Per questo sono stata poi riconosciuta invalida per gravi lesioni agli organi genitali. Infatti ancora nel 1950 sono stata ricoverata d’urgenza in ospedale, al Maria Vittoria e il professor Zanetti mi ha tolto 13 grumi di sangue, come una catena.

Il penultimo interrogatorio mi hanno torturato con dei ferri roventi. E poi…. Lo vedi che mi hanno lasciato le cicatrici sulla mascella e sul mento.
Nessuno del paese interveniva: gli unici che sono intervenuti sono stati il dottor Garrone, il farmacista e il parroco Don Gili che era un fervente antifascista.

Il 18 aprile, mi pare, i partigiani attaccarono la Casa Littoria di Chieri. Dalla casa partirono raffiche sui nostri partigiani colpendone parecchi. Il comandante della Casa Littoria era il tenente N. Con lui sparava il figlio di 14 anni. I partigiani reagirono e naturalmente ebbero la meglio. I due furono giustiziati.

La moglie del tenente N. era in ospedale perché aveva avuto un bambino nato morto. Venne presa prigioniera perché aveva pronunciato gravi ingiurie contro i partigiani dicendo al marito di procurargliene uno bello grasso per farne sapone per lavare il figlio che sarebbe nato.
A casa aveva ancora altri 4 figli. La disperazione della donna era il mangiare per i 4 figli e per la madre vecchia, perché tutta Chieri si era schierata contro di loro.

Il comando aveva decretato la sua morte. Bè, ancora oggi riconosco che se è vissuta è perché io ho supplicato il capitano Negro di non arrivare a questo, perché se i figli dimenticano la morte del padre e del fratello non avrebbero dimenticato la morte della madre.

Fu salva. Non solo, di nascosto feci pervenire alla madre e ai bambini l’indispensabile per non morire di fame.

Io non volevo che noi fossimo stati come gli altri. Perché se i fascisti erano quei torturatori che avevo visto, volevo che i partigiani si differenziassero, per quel senso di umanità.

Il 7 maggio Volpiano celebrava la liberazione; non prima per la corazzata tedesca che aveva scorrazzato da quelle parti…

Il sindaco Amateis, quell’amico di mio padre, ha voluto che fossi presente. Dal balcone del Municipio mi ha presentata come una donna che: – Aveva subito nello spirito e nella carne gli orrori del fascismo e che non aveva tradito gli ideali di suo padre, – anche se è diventata comunista! Mi ricordo ancora le parole!

Comunque quando si son presentati alle elezioni amministrative comunisti e socialisti insieme, non mi hanno voluta….
La Resistenza ha voluto anche che facessi la consigliera comunale di Torino. Questa esperienza non era una cosa che facevo molto volentieri. Non era adatta alla mia indole, però mi ha dato la possibilità di aiutare tanti partigiani e partigiane e famiglie, attraverso il settore assistenziale cui ero addetta.

La mia prima esperienza di comizi è stata disastrosa. Dopo ho sempre cercato di esprimere quello che pensavo. Ne ho fatti abbastanza qui alle Vallette. Ero presidente del Comitato inquilini. Mi hanno voluto presidente.
Mancava tutto: i servizi sociali, scuole asili, farmacia, negozi.

Abbiamo fatto lotte a non finire. Adagio, adagio siamo riusciti a organizzare se non un vero villaggio operaio come vorremmo, non un ghetto come vogliono descriverlo a volte.

Io non ero una femminista; forse perché l’ambiente nostro dell’Anpi non ha mai soffocato la mia personalità, ma pensandoci riconosco che hanno ragione ad avanzare certe rivendicazioni.
Come donna dico che, malgrado il continuo parlare di emancipazione femminile che fanno i partiti politici, in realtà l’hanno sempre relegata ai lavori più modesti e sacrificati. Non do un giudizio positivo.
Io penso che siccome abbiamo saputo lottare con loro…. almeno in 30 anni la donna doveva avere un po’ più di spazio nella vita politica.

Queste sono note dolenti. Non solo gli uomini non hanno aiutato, ma le hanno ostacolate.

2 Comments

  1. Ho conosciuto Anna Bechis quand’era consigliere comunale a Torino. Era una grande donna che si portava dentro la sua fierezza. Ai tempi questi episodi di eroismo non erano noti.Poi gli unici autorizzati a parlare erano gli ex comandanti partigiani. Peccato. Avrei potuto conoscere tanti episodi autentici e non mitizzati. Ho poi saputo che è deceduta ancora giovane. gRazie per aver pubblicato la sua autentica tesimonianza

    Franco

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