A proposito di resilienza, questo termine in voga che non può minimamente sostituire resistenza.
La resilienza è la qualità dei materiali inerti di resistere a urti, pressioni, deformazioni.
“Ti rivogliamo subito in forma!”, pronto di nuovo a postare come se niente fosse successo; è l’imperativo morale della società improntata al darwinismo sociale e all’adattabilità alle peggiori condizioni materiali.
Se qualcuno fa un lavoro alienante, è depresso o si ammala, è perché non ha saputo lottare e rialzarsi, dove “lottare” non ha niente a che fare con la lotta di classe o per i propri diritti: al contrario, è “dentro di sé” che deve trovare la felicità, affrancarsi dal dolore come gli è richiesto dalla catena fordista del godimento obbligatorio. (Cioè se non consumi non godi, e se non consumi la catena di montaggio si inceppa assieme al profitto dei pochissimi che possiedono la catena)
Dentro una società malata e con sempre meno stato sociale e servizi pubblici al malato non resta che la finta libertà di pubblicizzare sé stesso.
Proprio per questo, in vista della festa della liberazione dal Nazifascismo, uniamoci in una nuova lotta di liberazione.
Tina Pica ha commentato
Imprenditori di se stessi, la società della prestazione è una società dell’autosfruttamento. Al posto della costrizione esterna subentra un’autocostrizione, molto più efficente e produttiva, che si spaccia per libertà e produce, sulla nostra pelle, depressione, senso di inadeguatezza, frustrazione, burn-out, iperattività e collera esasperata dalla competizione. Liberiamoci, unendoci, del dispositivo culturale correlato. La resilienza è rassegnazione e non opposizione a tutto questo.