PER UNA SANITÀ PUBBLICA, DIGNITOSA E EFFICIENTE PER QUELLI CHE STANNO IN BASSO, PAZIENTI ED OPERATORI.
CONTRO LE OMICIDIALI TRAPPOLE DELLA PRIVATIZZAZIONE
La privatizzazione della sanità inizia a mostrare il profilo che la segna, quello di grandi imprese di assicurazioni, ospedali, diagnostica, con una dimensione sempre più multinazionale, che considerano la salute come il mercato in crescita più rapida e con maggiori opportunità di profitto.
Nelle ultime settimane le notizie si sono inseguite. Gli eredi della famiglia Agnelli, con la loro finanziaria Exor, hanno acquisito il 15% della Philips, la società olandese che abbandona l’elettronica di consumo per concentrarsi nelle tecnologie per la salute. Gli investimenti di Exor nella sanità comprendono altre imprese europee per un importo complessivo di circa 4 miliardi di euro.
Il Gruppo San Donato, il più forte della sanità privata in Italia, con 18 ospedali (tra questi il San Raffaele a Milano), decine di strutture e oltre 7 mila medici, ha acquisito la maggioranza in American Heart of Poland, il terzo più grande operatore della sanità privata in Polonia e ha stabilito accordi per ospedali e personale sanitario in numerosi paesi arabi. In Veneto, il Centro di medicina ha allargato la sua rete di strutture private e convenzionate con 800 medici e oltre 300 addetti, diffusa in più città, con aumenti di prestazioni del 40%.
Il rafforzamento della sanità privata si è nutrito delle narrazioni dominanti per cui «non ci possiamo permettere i costi della sanità pubblica», «è inefficiente e fonte di sprechi». Gli scenari di espansione prevedono di affidare alle assicurazioni private la diagnostica e le cure specialistiche, lasciando le cure essenziali alla sanità pubblica.
Ma si riaffaccia anche l’idea di una fuoriuscita dal Servizio sanitario nazionale dei cittadini ad alto reddito: i più ricchi smetterebbero di contribuire al finanziamento dei servizi pubblici, con una sanità pubblica «per i poveri» destinata a degradarsi, contrapposta a isole di eccellenza privata riservate a chi può pagarsi le cure. Un modello che ha già mostrato negli Stati Uniti i suoi effetti disastrosi e – questi sì – insostenibili sul piano finanziario. Si tratta di un completo stravolgimento dei principi costituzionali e dell’impianto del servizio sanitario pubblico.
In questo contesto la questione della salute non è più un tema «di settore», da lasciare agli addetti ai lavori. È un tema politico al centro di visioni contrapposte sulla società e sui diritti. Si rende allora davvero necessario mettere la salute al centro del dibattito politico e del cambiamento sociale, re-immaginare un modello di welfare socio-sanitario che sia ugualitario e di grande qualità per tutti, compresi i poverelli come noi.
Più iniziative hanno iniziato a muoversi in questa direzione – la manifestazione convocata per il 7 ottobre prossimo a Roma «La via Maestra. Insieme per la Costituzione», la proposta (per ora respinta) di referendum in Lombardia su pubblico e privato in sanità – ma si sente la mancanza di un conflitto più esteso su un tema di vitale importanza che coinvolga anche gli ambiti fondamentali del welfare, scuola, trasporti, ambiente.
Nel 2022 il governo italiano ha destinato alla salute il 6,8% del PIL. Ci supera tutta l’Europa occidentale tranne Portogallo, Irlanda, Grecia e Lussemburgo. In termini assoluti l’Italia investe solo 3255 euro pro-capite, il 17% in meno della media europea. Siamo sotto la media europea, ed è un divario nato e sviluppato negli ultimi anni: fino al 2010, infatti, l’Italia era in piena media europea.
L’entità della cifra mancante alla sanità pubblica del nostro Paese, calcolata dalla Fondazione Gimbe, è mostruosa: ben 47 miliardi di euro.
I lavoratori della sanità sono sempre più sfruttati e sottopagati. È stato calcolato che camici bianchi e infermieri “regalano” alle “aziende sanitarie” circa 300 ore l’anno a testa, pari a un miliardo di euro.
I risultati sono: sempre più episodi di malasanità, liste di attesa di anni per un semplice esame, maltrattamenti, sempre più persone costrette a pagare centinaia di euro per curarsi.
Mentre vengono investiti sempre più miliardi di fondi pubblici per il riarmo.
Questa è un aggressione spietata alle condizioni di vita e di lavoro della maggioranza, quelli che stanno in basso.
Alle armi cittadini, oppressi, sfruttati e umiliati; citando i nostri cugini francesi.
Basta! Scendiamo in piazza, reagiamo nel quotidiano e accomuniamoci in una battaglia contro ogni aggressione alla giustizia sociale e ambientale.
Uniti si vince
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