A proposito delle università Israeliane come “luogo del dissenso”, tenendo conto delle esemplari eccezioni che ci capita spesso di raccontare ed esaltare, ci poniamo alcuni interrogativi sulle loro strutture generali: le università israeliane sono pienamente libere? Luoghi neutrali di confronto democratico, del pensiero critico?
Un primo esempio: La nota Prof palestinese Nadera Shalhoub-Kevorkian (esperta di femminisimi e violenze di genere) è stata appena sospesa per ordine della Hebrew University e detenuta per ore all’aeroporto Ben Gurion. A ottobre aveva firmato una lettera con 1000 accademici internazionali che chiedeva il cessate il fuoco e la fine del regime di apartheid. Nella lettera che accompagnava la misura, il rettore specificava che la sua è una «università sionista» in cui docenti non-sionisti o antisionisti non hanno diritto di cittadinanza.
Sono moltissimi i casi di docenti e studenti sospesi dalle Università israeliane, di minacce, di denunce che dai campus planano sulle scrivanie della polizia, tutto per un post su Facebook o Instagram o dichiarazioni pubbliche che dicono no alla guerra o fanno notare che a Gaza ci sono dei civili.
Nei primi due mesi dopo il 7 ottobre 113 studenti palestinesi sono stati sospesi, il 79% donne e il 21% uomini. Nel 47% dei casi la sospensione è stata immediata, senza processo interno. In otto casi sono stati espulsi. A oggi gli studenti finiti di fronte ai comitati disciplinari sono circa 160 in 34 diverse istituzioni accademiche.
E poi ci sono i docenti, in sei casi sospesi come l’israeliano Uri Horesh e la palestinese Warda Sada e tanti pubblicamente condannati (con richiesta ufficiosa di dimissioni), tra loro nomi noti come l’israeliana Nurit Peled e la già citata palestinese Nader Shalhoub-Kevorkian, «colpevoli» di aver aderito ad appelli per il cessate il fuoco.
La pressione è duplice, dall’alto e dal basso. Nel caso degli studenti palestinesi è efficace: molti hanno smesso di andare a lezione, c’è un calo significativo della loro presenza.
Prima la discriminazione era invisibile. Pensiamo al mancato riconoscimento delle università palestinesi dei Territori occupati. Chi si laurea alla Al Quds, alla Birzeit o alla An-Najah di Nablus non è riconosciuto dalle istituzioni israeliane. Può lavorare ovunque nel mondo, ma non in Israele. Adesso si è passati alla repressione aperta e allo “scolasticidio” di Gaza.In Europa e negli Stati uniti le cose non vanno meglio. Dal Max Planck Institute for Social Anthropology in Germania che licenzia il noto professore Ghassan Hage, al licenziamento della rettrice di Harvard e ai colleghi svizzeri mobilitati in difesa della libertà accademica, sembra che in quelli che da sempre sono presentati come bastioni della difesa dei diritti liberali di espressione e di libertà di opinione, in realtà, vigano la censura e il silenziamento coatto.
In Italia è stata resa nota la notizia di docenti universitari a cui è stato impedito, nel contesto di seminari dipartimentali, di tenere un minuto di silenzio in ricordo delle vittime civili palestinesi e di leggere una poesia palestinese, perché entrambe le cose sono state ritenute controverse. Ormai risulta evidente un accresciuto e più libero interventismo delle forze dell’ordine nei campus universitari e una forte tendenza a negare aule e spazi universitari per dibattiti che, dalle autorità degli atenei, sono visti come sconvenienti o addirittura pericolosi. Spesso, attori esterni alle università e stampa di destra esercitano pressione affinché alcuni convegni e dibattiti non abbiano luogo.
Citiamo le linee guida PACBI (Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel) del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), che sono sicuramente molto chiare: “Le istituzioni accademiche sono un punto chiave della struttura ideologica ed istituzionale del regime di oppressione, colonialismo ed apartheid di Israele contro la popolazione palestinese. Fin dalla sua fondazione, l’accademia israeliana ha scritturato il suo destino con l’establishment politico-militare egemone in Israele, e nonostante gli sforzi di una manciata di accademici di principio, l’accademia israeliana è profondamente implicata nel supporto e nella perpetuazione del sistematico diniego di Israele dei diritti dei palestinesi’.
“Come regola imperativa generale, tutte le istituzioni accademiche israeliane, salvo prova contraria, sono soggette al boicottaggio, a causa della loro decennale, profonda e consapevole complicità nel perpetrare l’occupazione israeliana e la negazione dei diritti fondamentali dei palestinesi, sia attraverso il loro silenzio, che rappresenta un effettivo coinvolgimento volto a giustificare, occultare o altrimenti deliberatamente sviare l’attenzione dalle violazioni israeliane del diritto internazionale e dei diritti umani, o addirittura attraverso la loro diretta collaborazione con le agenzie statali nella pianificazione e nella realizzazione di progetti che violano il diritto internazionale e i diritti dei palestinesi. Di conseguenza, queste istituzioni, tutte le loro attività, e tutte le attività che sponsorizzano o che supportano devono essere boicottate. Si dovrebbe porre fine a tutti i progetti con le istituzioni accademiche israeliane, così com’è stato con le istituzioni accademiche sudafricane sotto l’apartheid’”.
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