Noi neghiamo che la scienza debba sostituire l’immaginazione, la previsione debba subentrare al racconto e la definizione geografica del punto di insorgenza della rivoluzione debba abolire la proiezione della società giusta in un non-luogo.
Gli stessi tratti specifici di ciascuna utopia riflettono precisamente l’opposizione a quei tratti di una condizione storico-sociale vissuta come ingiusta.
Il conflitto di classe è ben presente a noi utopisti “scie-scie-scientifici” odierni(citando I soliti ignoti, Mario Monicelli, 1958).
La soluzione utopica prende le mosse storicamente proprio dalla reazione a quel modo della proprietà, il latifondo, che impoverisce le classi più deboli: la proprietà comune della terra, dei mezzi e dei prodotti del lavoro è per gli utopisti classici la chiave di volta di un ordine non solo più giusto ma anche più virtuoso e più bello (bello come giusto sensibilmente manifesto), nel quale la condivisione risponde a ben più che al soddisfacimento dei bisogni essenziali.
Appare evidente che il rifiuto dell’ideale utopico risiede in fondo nel rifiuto della modalità di pensiero in cui l’utopia si fonda: l’immaginazione, appunto.
Quest’ultima è ritenuta incapace di analizzare le cause e di motivare su una base realistica l’azione politica.
E tuttavia, vi è un’innegabile dimensione utopica anche nel pensiero di Marx e dello stesso Engels.
Quando il proletariato conquista i mezzi di produzione e li rende proprietà statale, si sopprimono le differenze di classe e lo sfruttamento, e persino lo Stato di eclissa:
“Non appena non ci sono più classi sociali da mantenere nell’oppressione, non appena con l’eliminazione del dominio di classe e della lotta per l’esistenza individuale fondata sull’anarchia della produzione sinora esistente, saranno eliminati anche i conflitti e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò che rendeva necessario un potere repressivo particolare, lo Stato. […] Lo Stato non viene “abolito”: esso si estingue.”
(F. Engels L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza)
L’immagine di una società che ha superato definitivamente i conflitti è indiscutibilmente utopica, non solo nella prefigurazione (inevitabilmente immaginata) della fine dei dissidi, ma anche nell’idea di abbondanza, di libertà e di pienezza.
Engels non lesina le descrizioni del “salto dell’umanità dal regno della necessità al regno della libertà”, i cui tratti essenziali investono tutte le dimensioni dell’esistenza umana:
“La possibilità di assicurare, per mezzo della produzione sociale, a tutti i membri della collettività una esistenza che non solo sia completamente sufficiente dal punto di vista materiale e diventi ogni giorno più ricca, ma che garantisca loro lo sviluppo e l’esercizio completamente liberi delle loro facoltà fisiche e spirituali: questa possibilità esiste ora per la prima volta, ma esiste.”
(F. Engels L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza)
Il desiderio di giustizia non è esclusivo dell’utopia, ma quest’ultima partecipa legittimamente di ogni tentativo non tanto di prevedere quanto di immaginare gli esiti di una trasformazione sociale possibile per gli esseri umani.
Critiche marxiste ed eventualmente maoiste sono benvenute
Manca citazione finale di Mao:
Il soggettivo crea l’oggettivo
Francesco Esposito