PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON LE ZAPATISTE E GLI ZAPATISTI
ORE 17.30 IN PIAZZA PASI – TRENTO
In Chiapas, nel Sud-Est del Messico, le comunità zapatiste sono violentemente aggredite da crescenti attacchi di organizzazioni paramilitari che devastano, distruggono e uccidono con la complicità e la copertura dei grandi proprietari terrieri e degli apparati dello Stato al loro servizio.
Le lotte delle comunità zapatiste da 30 anni rappresentano il faro di un futuro degno per tutti quelli che stanno in basso e patiscono in tutto il mondo.
Le lotte contro ogni ingiustizia e contro ogni oppressione, per un altro mondo possibile, in tutto il mondo, devono moltissimo a loro.
Un grande esempio di ribellione a cui noi riconosciamo di dover moltissimo.
Un esempio di lotta ininterrotta in cui si fa quel che si dice, si dice quel che si fa.
Ricordiamo i loro decisivi contributi nella denuncia dei venti di guerra mondiale e contro l’idra capitalista distruttrice di futuro.
Per questo chiediamo a tutte e tutti quelli che sono stati toccati da questo esempio e dalla parola zapatista di impegnarsi in una solidarietà militante con le sorelle e i fratelli zapatsiti.
Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare al presidio di venerdì prossimo in Piazza Pasi a Trento.
È importante che tutte e tutti si preparino a parlare e a dire i loro pensieri e i loro sentimenti.
CONTROCULTURA: SPAZIO APERTO BE.BRECHT – TRENTO
Forrest Gump diceva che la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita.
Durito, credo, non sarebbe stato d’accordo. Durito diceva che la vita è come una mela, e una mela, si può ben dire, è più affidabile di una scatola di cioccolatini: quando la mangi non ti devi affidare al caso, non devi chiudere gli occhi e sperare di sentire in bocca la croccantezza della pralina di nocciole piuttosto che un molliccio marzapane imbevuto con rum di quarta mano. La mela la puoi scegliere, e puoi scegliere se mangiarla in una bella composizione di frutta, in composta, in una bibita alla mela, come succo, in una torta o comunque prescriva la gastronomia.
Questo è vero, ma Durito dice anche che sono pochi, pochissimi, quelli che possono davvero scegliere come mangiare la mela. Alla grande maggioranza delle persone vengono rifilate mele guaste: i poveri sono obbligati a mangiare la mela marcia, ai giovani viene imposta la digestione della mela acerba, ai bambini promettono una bella mela e intanto la si avvelena con il verme della menzogna, alle donne si promette una mela e invece ricevono un’arancia.
Quello che dovrebbe essere un diritto, è oggi, ahinoi, un privilegio.
Ed è a tal proposito che, personalmente, devo qualcosa agli zapatisti. Uno zapatista, insegna Durito, quando si trova davanti ad una mela, prende il filo dell’alba e, con colpo sicuro, taglia la mela a metà; poi ne raccoglie con cura i semi, li pianta e li annaffia con le sue lacrime e il suo sangue, perché un giorno, quando lui non ci sarà, qualcuno, chiunque sia, possa raccogliere una mela matura ed essere libero di decidere se mangiarla in una composizione di frutta, in composta, come succo, in una torta o in una bibita alla mela.
Io non so cosa intendesse di preciso Durito quando nominava il filo dell’alba, ma credo di non andare troppo distante se mi immagino la linea dell’orizzonte che si rischiara della luce del nuovo giorno, il confine che prepara, cura e nutre l’avvento del domani, la fibra che dal futuro si tende fino a noi per guidarci e indicarci la via al meglio; quel filo che nelle mani di uno zapatista diventa utile strumento per incidere la realtà con la lama del sogno a occhi aperti, per continuare, così, a guardare avanti.
Con il loro impegno e la loro pratica zapatisti e zapatiste contribuiscono a mantenere viva la speranza di molti e molte, mostrano a tutti gli oppressi che un altro mondo è possibile, che la rinuncia al sogno non è l’unica via, che il bene e il meglio sono possibili, posto che li si faccia, che si lotti per essi.
Certo, la lotta per una vita degna è una lotta dura, richiede lacrime e sangue, ma è un sangue fertile, non sterile come quello che viene quotidianamente spremuto, già oggi, dalla fronte di chi sta in basso, dalla nostra fronte. E se noi, a differenza di chi vive letteralmente dilaniato dalle bombe e dai fucili dei potenti, abbiamo ancora la fortuna di poter dire che il sangue che ci viene tolto è, almeno per ora, un sangue metaforico, a maggior ragione dovremmo impegnarci nella lotta per la giustizia, dovremmo interrogare le nostre parole e i nostri gesti e metterli al servizio di un’etica solidale, gravida di futuro. Anche in questo gli zapatisti hanno qualcosa da insegnare, quando ricordano che un uomo vero, una donna vera, non guardano da che parte si vive meglio, ma da che parte sta il loro dovere. E il nostro dovere è la nostra etica: non pretendere di sapere tutto, ma ascoltare e guardare per imparare e per rispettare chi ci sta affianco nella lotta; impegnarsi in una causa materializzata, che si nutra di speranza e non di illusioni e che sappia dare un senso alle fatiche e al dolore; rispettare gli antenati e i loro insegnamenti, perché la storia del basso non è altro che un’immensa storia collettiva; esistere per il bene dell’umanità, cioè la giustizia, poiché essa è qualcosa che si costruisce come si costruisce tutto ciò che ci rende esseri umani, ovvero collettivamente; imparare a dotarci di armi e strumenti che non sono altro che le scienze, le tecniche e le arti, e, tra tutte queste, lo strumento della parola.
FrankTreDita, che rimane l’esempio a cui devo il mio meglio, era solito dire “Ogni questione pratica si pone come bassezza se non è posta come questione correlata alla militanza della prospettiva. Andiamo alle questioni alte, giacché la nostra bassezza, la nostra subalternità sono spontaneamente garantite”. Credo sia una buona sintesi della militanza e dell’insegnamento zapatista. Essa ci ricorda che non ci dobbiamo meravigliare se riconosciamo in noi delle bassezze, delle pratiche e atteggiamenti meschini. Nessuno è esente dalle contraddizioni che segnano il proprio tempo. Questa è una verità che sarebbe sciocco ignorare. Abbiamo fino ad ora mangiato mele marce, coltivate con bassezze che comprendono atteggiamenti di rinuncia, egoismi, autocompatimento, autoindulgenza e complicità con il nemico. L’errore non sta nel riconoscersi vittime e nell’essere comprensivi verso se stessi; l’errore sta nel giustificare la nostra condizione di vittime, nel rassegnarsi a queste bassezze, poiché chi sta in basso è perduto se rimane di basse vedute. L’errore sta nel non puntare in alto. E puntare in alto significa votare i propri gesti e le proprie azioni a una prospettiva di riscatto, tendere anima e corpo verso quell’orizzonte che si rischiara della luce di quel domani che avremo contribuito a creare; significa impugnare il filo dell’alba e coltivare, a partire da sé, il meglio che ancora deve venire.