L’Italia è l’unico paese in Europa dove, tra il 1990 e il 2020 i salari reali sono calati. I salari delle donne continuano a rimanere più bassi di quegli degli uomini. Vivere costa sempre di più per chi sta in basso.
La ricchezza in Italia è sempre più in poche mani, il 5% della popolazione detiene praticamente la metà della ricchezza dell’intero Paese, tutto questo mentre il PIL aumenta leggermente. Ricchezza in più per tutti? No solo per i milionari. Infatti il lavoro povero è in continuo aumento. Sono 6 milioni i lavoratori dipendenti che cercano di sopravvivere con 850 euro lordi al mese, quasi 6 milioni di persone vivono in povertà assoluta. Gli studenti non riescono più a pagare gli affitti, si tolgono risorse all’istruzione e alla sanità pubbliche (nel decreto Pnrr approvato giorni fa vengono stralciati dal fondo 1,2 miliardi per la sanità, soldi che servivano all’ammodernamento di 300 ospedali), milioni di persone non hanno il diritto a una casa dignitosa. Le pensioni sono sempre più pensioni da fame e moltissimi pensionati sono costretti a continuare a lavorare per sopravvivere.
Ogni giorno muoiono 3 lavoratori e lavoratrici in Italia a causa della sete di profitto dei padroni.
Ci sono i lavoratori migranti che raccolgono olive, uva o pomodori per 14/17 ore al giorno, con paghe che arrivano fino a 97 centesimi l’ora. 322 migranti sono morti quest’anno solo nel Mediterraneo centrale.
Il 2023 è stato anche l’anno in cui il riscaldamento globale ha frantumato ogni record. Per l’Italia nei prossimi anni si attende un meno 50% di disponibilità idrica. La risposta di lor signori? Un esempio italiano: L’amministratore delegato di ENI, il signor Descalzi, ha annunciato che Eni punta a una crescita della produzione di petrolio e gas sino al 2027 del 3-4% medio annuo. Molto probabilmente a questo aumento contribuirà lo sfruttamento di giacimenti palestinesi di cui Israele ha concesso le licenze anche a Eni, che si rende così complice di uno Stato Genocida oltre a portarci verso il baratro ambientale.
Intanto il presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel, dichiara: “È giunto il momento di adottare misure radicali e concrete per mettere l’economia dell’Unione Europea su un “piede di guerra”.
Il governo Italiano con zelante subalternità prende alla lettera le indicazioni dell’Europa e rincorre l’obbiettivo imposto dai padroni della NATO: almeno il 2% del PIL in armamenti. Infatti l’Italia, pardon, i milionari italiani sono quelli che stanno guadagnando di più dalle guerre in corso. Con un + l’86% di esportazioni tra il 2019 e il 2023 l’Italia ha superato l’Inghilterra al sesto posto nel mondo. Al banchetto ovviamente l’azienda italiana Leonardo la fa da padrone. La stessa azienda i cui cannoni da 76mm montati sulle Corvette della Marina militare israeliana partecipano al genocidio dei Palestinesi a Gaza.
In Palestina il genocidio continua. A Gaza sono morti in 5 mesi più bambini che in tutte le guerre nel mondo negli ultimi 4 anni. Una violenza che è la radicalizzazione della violenza strutturale dell’occupazione coloniale israeliana: basti pensare alla giornata tipo di una lavoratrice o di un lavoratore palestinese anche prima del 7 ottobre, fra check point, sfruttamento, arresti arbitrari, abusi e aggressioni di ogni genere. Una lunga storia di colonizzazione e di oppressione.
Nel mondo 2.293 miliardi di euro sono stati spesi in armamenti solo l’anno scorso. I grandi ricchi di qualsiasi bandiera ci stanno preparando e spingendo in guerre fratricide i cui morti, mutilati, sofferenti sono sempre dei nostri, di noi che stiamo in basso. I miliardari europei, russi, americani, israeliani, arabi, asiatici e chi più ne ha più ne metta, i grandi manager delle grandi industrie d’armamento sono sempre pronti a fuggire sui loro jet privati in rifugi a migliaia di chilometri di distanza dai campi di battaglia e lasciare i popoli a macellarsi a vicenda. Massacro per difendere le rispettive patrie? Patrie dove la gente che sta in basso fa i salti mortali per pagare il mutuo per un bilocale nelle periferie inquinate delle grandi città e chi ha patrimoni superiori a 10 milioni, la sede fiscale all’estero, la cittadinanza a Montecarlo e 5 Bentley in garage non viene neanche minimamente toccato da una misera tassa patrimoniale?
Sfruttate e sfruttati, lavoratrici e lavoratori, ricordiamoci della gloriosa storia delle nostre lotte per una vita degna, ricordiamoci della coraggiosa lotta per il diritto alle 8 ore di lavoro che portò al riconoscimento del 1 maggio come festa delle lavoratrici e dei lavoratori di tutto il mondo. Riconquistiamo il coraggio e i sogni di quelle donne e di quegli uomini, sogni animati da una generosa e salvifica solidarietà internazionale fra tutti quelli che stanno in basso, per un futuro degno per tutte e tutti. Sono sogni che vengono da lontano nel tempo e che guardano lontano.
Cominciamo con il ricordare una storia, la storia di una banda partigiana, oggi più che mai esemplare, la banda Mario.
La banda Mario fu uno dei primi gruppi della resistenza marchigiana. Nelle numerose foto dell’epoca compaiono tutti insieme, donne e uomini, italiani, croati, serbi, inglesi, sovietici, ma anche somali, eritrei ed etiopi, uniti contro l’occupazione nazifascista e sotto la guida dell’antifascista istriano Mario Depangher, per molti anni prigioniero al confino. È soprattutto la presenza di uomini, e donne, africani a caratterizzare la “banda Mario”. Provenivano dalle colonie italiane in Somalia, Eritrea ed Etiopia ed erano arrivati in Italia nel 1940. Erano stati portati a Napoli per la Mostra delle Terre italiane d’Oltremare voluta dal fascismo proprio per mostrare al mondo le proprie conquiste coloniali e far sentire agli italiani il “senso del proprio dominio”. Quel fascismo che aveva abolito la festa del 1 maggio. Allo scoppio della guerra la mostra chiude i battenti e gli africani vengono portati come prigionieri nella località di Treia, nelle Marche.
Furono tre coraggiosi africani, Abbagirù Abbauagi, Scifarrà Abbadicà e Addisà Agà a fuggire dalla prigione e percorrendo circa 30 chilometri tra strade di campagna e boschi raggiunsero la “banda Mario”. Fondamentale per sfuggire a fascisti e nazisti fu l’appoggio della popolazione che, presumibilmente, guidò i tre verso i nascondigli dei partigiani. Nessun travestimento, infatti, sarebbe andato a buon fine visto il colore della loro pelle. L’arrivo di etiopici ingrossò le file della banda che coltivava ancora di più il carattere multietnico del gruppo. Gli italiani, nonostante l’educazione impartita durante il ventennio fascista, non ebbero alcuna difficoltà a riconoscere in loro un fratello e un compagno di lotta. Almeno altri 10 africani si unirono al gruppo guidato da Depangher, tra cui anche una donna. Molti di loro morirono nella lotta di liberazione.
Questo il ricordo di un partigiano del gruppo, Franco Cingolani: “Sentiamo ancora il calore che ci affratellava, anche quando qualcuno cercava di opporci, di dividerci, di separarci; nulla poteva dividerci: quando la passione, l’ideale, il futuro era in ciascuno di noi così limpidamente configurato, che non è difficile ritornare ai momenti più significativi di quelle giornate, di quelle serate, quando i colloqui in italiano, in slavo, in russo, in inglese, in somalo erano talmente comprensibili in un meraviglioso ricomporsi di una lingua universale, che solo la fratellanza umana poteva rendere possibile.”
Abbiamo scelto questa storia, particolarmente bella, perché pensiamo abbia molto da insegnarci ancora oggi. Il coraggio di quei somali, eritrei, etiopi, a cui era negato il diritto all’autodeterminazione dal colonialismo fascista e che combatterono nelle fila della resistenza ci ricorda che tutti i popoli oppressi hanno il diritto alla resistenza. Oggi vogliamo ricordare in particolare il popolo palestinese.
I bambini, compresi i nostri, ci guardano. Ogni bambino del mondo, ogni bambino palestinese ucciso è uno schiaffo alla nostra coscienza, alla nostra indifferenza, al nostro pensare ai piccoli e meschini fatti nostri, ai nostri sentimenti che possono diventare grandi sentimenti se reagiamo “al così è e non c’è niente da fare”, se iniziamo a parlare con gli altri, se iniziamo ad impegnarci in prima persona, a scendere in piazza, a unirci a chi già lotta. Oltre all’indifferenza c’è una certa ottusità. Quello che i bombardamenti israeliani stanno facendo ai bambini di Gaza potrebbe succedere anche qua se lasciamo che i nostri governi proseguano indisturbati la corsa al riarmo e la complicità con le guerre di dominio.
Contro ogni rassegnazione e fatalismo, prendiamo ad esempio la Banda Mario e uniamoci nella lotta per la giustizia sociale e ambientale, per una vita degna per tutte e tutti, proponendo e praticando un affratellamento internazionalista contro la guerra e in solidarietà al popolo palestinese. Le studentesse e gli studenti, le lavoratrici e i lavoratori (ricordiamo i lavoratori Google arrestati negli USA) in molte parti del mondo lo stanno già facendo, dagli Stati Uniti, alla Francia, all’Italia.
CONTROCULTURA: SPAZIO APERTO BE.BRECHT – TRENTO
