LO RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA, A GAZA È IN CORSO UN GENOCIDIO NOI QUI DOBBIAMO PROTESTARE MOLTO DI PIÙ, FARE MOLTO DI PIÙ

Gli ultimi dati:

37.202 uccisi (di cui 15,694 bambini, 498 operatori sanitari, 150 giornalisti) a cui si aggiungono 33 morti per fame, 10mila dispersi, 84.932 feriti, 350mila malati cronici senza più terapia, 17mila bambini orfani di almeno un genitore, 5mila arrestati, 79mila tonnellate di esplosivo sganciate da Israele sulla Striscia, 103 ambulanze e 206 siti storici e archeologici distrutti, 16 ospedali su 64 cliniche tuttora operativi.

Le operazioni militari continuano, non le hanno fermate né i tribunali dell’Aja né le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per l’assenza di sanzioni internazionali concrete.

L’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha riportato un grafico di Euro-Med Human Rights Monitor intitolato: “Su Gaza più bombe della Seconda Guerra Mondiale”.

Confrontando l’aggressione israeliana con i bombardamenti tedeschi su Londra del 1940-41 e con quelli angloamericani su Amburgo e Dresda del 1943 del 1945 la spriporzione risulta impressionante. E tale resterebbe anche se volgessimo lo sguardo ai bombardamenti pianificati dalla Federazione Russia sulle città ucraine, che hanno provocato un numero di vittime civili nettamente inferiore a quella di Gaza.

I satelliti dell’Onu hanno accertato che oltre la metà degli edifici nella Striscia di Gaza è stato distrutto dai bombardamenti israeliani.

Quasi la metà della copertura arborea e dei terreni agricoli della Striscia di Gaza sono distrutti, mentre i materiali pericolosi lasciati dalle munizioni israeliane rappresentano una minaccia a lungo termine per l’intero ecosistema.

La tremenda crisi alimentare – gli aiuti che entrano col contagocce nella Striscia – condanna i gazawi a una perenne fame. Avverte la FAO che più di un milione di palestinesi nella striscia di Gaza dovranno affrontare carestia e morte entro la metà di luglio. I dati riportati nel rapporto mostrano che il 100% della popolazione della striscia di Gaza, pari a 2,2 milioni di persone, si trova nella terza fase o superiore, nota come fase di “crisi” nella classificazione delle fasi di sicurezza alimentare integrata dell’ONU.

Ci sono poi l’epidemie. Le temperature alte durante la giornata in questa stagione sono un tormento, la ricerca dell’acqua è la prima emergenza ogni mattina.

Otto mesi di implacabili bombardamenti e assedi israeliani hanno quasi distrutto le infrastrutture, gli impianti di gestione dei rifiuti. Ciò ha lasciato resti umani sepolti per mesi sotto montagne di detriti, cumuli di rifiuti solidi non raccolti che si accumulano nelle strade dove li straripamenti di liquami sono un evento normale.

Le acque reflue traboccando nelle strade si raccolgono nei grandi crateri creati dalle bombe israeliane, riempiendo i quartieri di paludi di liquame che generano cattivi odori, inquinamento e insetti dannosi.

Secondo le nazioni unite, in tutta Gaza si trovano circa 37 milioni di tonnellate di detriti, contenenti i resti di quasi 10.000 persone che richiederanno anni per essere rimossi.

Già in maggio le ONG ancora presenti nella Striscia hanno lanciato l’allarme: nei campi profughi era in corso un’epidemia di meningite ed epatite, minacciando una “catastrofe sanitaria”. Anche le malattie della pelle come la scabbia, il vaiolo e i pidocchi si stanno diffondendo rapidamente e sono aggravate dalla mancanza di acqua potabile pulita.

Ci sono poi le morti per malnutrizione, decine ormai i ragazzini che arrivano in condizioni disperate nei pochi presidi sanitari che possono fare molto poco per loro.

Il futuro prossimo di Gaza è fatto di malattie, epidemie, deficit cognitivo e di crescita per scarsa alimentazione per una popolazione che al 65% è sotto i 15 anni, stenti, carenze sanitarie. È una condanna a morte, lenta ma una condanna a morte.

Martina Paesani, 47 anni, infermiera, è rientrata da qualche mese dalla sua ultima missione con Medici senza frontiere a Gaza. Era già stata in zone di guerra, a trattare i feriti da mine anti uomo. Eppure quello che ha visto a Gaza è senza precedenti.

“Migliaia di persone per strada, in ogni buco d’aria, con le taniche in mano in cerca di acqua e di ogni cosa possa essere mangiata o scambiata solo per sopravvivere un giorno di più.

Non suonano le sirene, non sei in tempo a raggiungere le safe-room, ti colpiscono “collateralmente” nei tragitti che dovrebbero essere green light. A Gaza davvero nessun luogo è sicuro e tutti, compresi noi operatori umanitari, siamo diventati target potenziali e reali vittime. Ma la cosa che più mi ha colpito è stato l’impatto massivo sulla popolazione, su oltre 2 milioni di persone ammassate in 40 km per 9. E i pazienti: in otto casi su 10, bambini.

In ospedale ti trovi di fronte il fornaio, la maestra, il falegname. La cosiddetta “società civile”.

Si illudevano che gli ospedali venissero risparmiati. Prima del 7 ottobre le strutture attive erano 37, il giorno di Natale 9 e dopo qualche giorno 8.

I malati non hanno possibilità di cura, gli ospedali servono solo per i feriti. E le stesse strutture dove operiamo con MSF sono state evacuate 14 volte: quando succede, tutte le persone che hai di fronte sai che saranno “morti di seconda e terza intenzione”.

Perché senza accesso alle medicazioni e alle anestesie, “i feriti andranno incontro a setticemia, cancrena, morte. Arrivano con ustioni su metà del corpo, amputazioni… I feriti sono morti.

Lo schema si ripete sempre uguale. L’esercito israeliano fa cadere volantini su un ospedale, intimando di evacuare perché la struttura è una base di Hamas. Carri armati e artiglieria demoliscono parti delle mura. I missili fanno saltare in aria le ambulanze. L’elettricità e l’acqua vengono tagliati. Muoiono i bambini prematuri nelle incubatrici e i malati gravi. Le forniture mediche sono bloccate (Il valico di Rafah sul lato palestinese è chiuso da 40 giorni, con buona pace della convenzione di Ginevra): niente più antibiotici, antidolorifici, barelle, stampelle, garze.

I soldati israeliani fanno irruzione e costringono tutti a uscire per le strade. Ma le bombe, in alcune zone, hanno spazzato via anche quelle. E così centinaia di feriti si ritrovano a vagare in mezzo alla polvere, insieme a 1,7 milioni di sfollati, da un punto all’altro della Striscia, a seconda di come si muove il conflitto.

Il segretario generale dell’ONU Antonio Gutiérrez, non il capo dei bolscevichi, ha affermato che “oltre 50.000 bambini necessitano di cure per malnutrizione acuta”.

“È l’annullamento dell’essere umano” dice Davide Musardo, psicologo che per MSF si occupa di salute mentale per tutto il Medio Oriente

È rientrato da Gaza pochissimi giorni fa: “gli incubi continuano. Ho l’immagine di questi bambini che gridano completamente bruciati… molti di loro senza più genitori.

Per sette settimane ho lavorato tra Rafah e Kahn Younis soprattutto sui bambini.

Ogni storia è a sé, ma i tratti sono comuni: depressione, trauma da perdita dei propri cari, esposizione costante al dolore, ansia, insonnia. Il domani non esiste. Aspettano solo di morire.

Sono cinque anni che lavoro in Medio Oriente, ma non ho mai visto questo livello di de-umanizzazione. La salute mentale sarà la vera emergenza, una volta che si fermerà il fuoco.

“Sai qual è il regalo che mi hanno fatto?” Riprende Martina, l’infermiera.

Mi sono portata a casa un senso di comunità che non ho visto altrove.

La cura dell’altro. Il fratellino che accompagna la sorellina. Il vicino di casa che porta in braccio il bambino. Anche io sono stata curata, nella mia paure. Quando sotto il suono silenziato dei droni h24 o con il rumore dei Pick Up che scaricavano cadaveri i miei occhi si perdevano, non erano mai soli.

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