Un ulteriore aspetto della svolta neoliberista imposta alla scuola pubblica

Pubblichiamo con entusiasmo, gratitudine e impegno militante lo scritto di un compagno che conosciamo e che apprezziamo molto.

Un ulteriore aspetto della svolta neoliberista imposta alla scuola pubblica

Un ulteriore aspetto della svolta neoliberista imposta alla scuola pubblica va ricercato nella maniera con cui si sta culturalmente colonizzando la relazione didattico-educativa all’interno delle aule scolastiche. La condivisione dei saperi, la loro critica, la messa in discussione di ciò che è dato per scontato, il faticoso incontro con il concetto, lo zelante lavoro teso a concepire il meglio dei discenti, sono tutte caratteristiche di quella che fino ad oggi è stata l’educazione scolastica: pratica cruciale nella formazione della mente e della persona. Le idee sono gli strumenti con cui si guarda e si agisce nel mondo.

Il neoliberismo è ben consapevole della forza delle idee, lo ricordava Margaret Thatcher, quando affermava: «l’economia fornisce il metodo, ma l’obiettivo è cambiare l’anima».

La nuova didattica per competenze va intesa in tal senso: essa è volta a plasmare le giovani menti, ad addomesticarle e a renderle co-agenti del passaggio generalizzato dalle norme e dai valori collettivi a un individualismo molto più competitivo quale valore centrale nella cultura imprenditoriale.

Il passaggio dalla didattica “tradizionale” alla didattica per competenze vede il suo preludio nel Consiglio Europeo di Stoccolma del 2001 e in quello di Lisbona dell’anno prima, nella cui relazione finale viene espressa l’idea di base, ovvero quella di rendere l’economia europea «l’economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva al mondo». Che l’economia si basi sulla conoscenza non è certo una novità e non crea scalpore; che tale conoscenza debba essere dinamica e competitiva a fini economici, dunque subordinata e funzionale all’economia, è un altro paio di maniche.

In un mondo di gusti e bisogni che cambiano rapidamente e con sistemi flessibili di produzione, l’accesso all’ultima novità tecnica, al prodotto più recente, all’ultima scoperta scientifica, implica la possibilità di conseguire un importante vantaggio competitivo. La conoscenza stessa diventa un bene fondamentale, da produrre e vendere al miglior offerente, in condizioni che sono organizzate sempre più su base competitiva. Le università e gli istituti di ricerca si contendono accanitamente il personale e lottano fra di loro per brevettare le nuove scoperte scientifiche. La produzione organizzata di conoscenza si è notevolmente diffusa negli ultimi decenni e ha acquisito una base sempre più commerciale (si consideri per esempio la non agevole trasformazione di molti sistemi universitari del mondo capitalistico avanzato dal ruolo di custodi del sapere e della saggezza a quello di produttori subordinati di conoscenza per il capitale delle grandi aziende).

Il sapere, insomma, diventa merce. Quando si afferma che le competenze

servono ai giovani per inserirsi nel mondo del lavoro;

costituiscono un imprescindibile trampolino di lancio per avvicinare le discipline ai loro rinnovati bisogni;

forniscono loro una forma mentis per porsi in un’ottica di continuo apprendimento per essere pronti e predisposti a “inseguire” i cambiamenti della società;

quando si sostiene ciò, si sta in realtà dicendo che

le conoscenze dovranno essere flessibili per adattarsi alla fluidità dell’economia;

per aderire ai rinnovati bisogni delle aziende, gli studenti dovranno utilizzare il proprio sapere per competere tra loro nel mercato del lavoro;

Le competenze insegneranno ai giovani a essere manager di sé stessi, così da sapersi meglio vendere alle esigenze delle grandi aziende.

La didattica per competenze, sposando l’ideologia neoliberista, secondo cui la società capitalistica contemporanea è immodificabile nella sua struttura profonda e costituisce anzi il migliore dei mondi possibili, insegna a studenti e studentesse non la capacità critica per mettere in discussione lo status quo, ma l’arrendevolezza, l’adesione alle esigenze di un mercato che necessita di servi pronti a vendersi e a farsi le scarpe l’un l’altro.

Stiamo spacciando per saggezza un realismo miope, deteriore, il cui scopo è convincere che la realtà sia una e intrascendibile: una realtà «economica, produttivistica e consumistica, una realtà che ci vuole tutti ‘soggetti di prestazione’, attraverso le forme di un disciplinamento in cui ciascuno di noi sfrutta sé stesso perché chiamato ad essere imprenditore di sé stesso, trasformandosi in soggetto d’obbedienza. Bambini e adolescenti non più ‘educati’ alla convivenza, alla coabitazione, alla condivisione, attraverso percorsi di conoscenza di ampio respiro, bensì individualmente ‘armati’ per compiti specifici». [cit. da un articolo di Anna Angelucci facilmente trovabile in rete].

Tutto questo con la complicità di molti, troppi, docenti, che anziché battersi per un’educazione contro-egemonica e rivendicare la dignità del proprio ruolo, si rinchiudono con impotenti lamentele nelle aule insegnanti, lasciando soli i migliori dei loro studenti e delle loro studentesse a manifestare per il proprio futuro nelle piazze, contrastati spesso dalla violenza delle forze dell’ordine.

È il caso che i maestri imparino dal coraggio e dall’esemplarietà dei loro discepoli. Nella vita di bambini, adolescenti e adulti non ci sono solo meriti: c’è la lotta per una vita degna.

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