CENSURA DI STATO nella “DEMOCRATICA” GERMANIA

Per la rubrica PALESTINA LIBERA

L’imperativo morale che impone alla Germania di stare sempre e comunque dalla parte di Israele viene applicato ormai a qualunque sfaccettatura della sfera pubblica tedesca.

Si parte dalla straordinaria mostra This Will Not End Well di Nan Goldin alla Neues Nationalgalerie diventata «arte insopportabilmente unilaterale» agli occhi della ministra della Cultura dei Verdi, Claudia Roth, dopo che l’artista statunitense si è permessa di strigliare pubblicamente la coscienza collettiva del Paese chiedendo di «svegliarsi» di fronte all’orrore di Gaza.

«Perché non posso parlare in Germania» è la premessa di Goldin in grado di per sé di sconvolgere le istituzioni ben prima delle dichiarazioni espressamente proibite come «il furto della terra da parte di Israele» che le costano la reprimenda dell’intero universo culturale progressista, compreso il quotidiano berlinese della sinistra-liberale, la Taz, secondo cui la fotografa «mette in dubbio la legittimità di Israele».

Sull’accoglienza a Berlino può testimoniare Adam Broomberg, artista ebreo da sempre impegnato sulla Palestina. Il 25 novembre scorso è stato respinto all’ingresso del simposio su «Arte e attivismo ai tempi della polarizzazione» organizzato alla Biblioteca di Stato, come racconta lui stesso su Instagram.

Ma lo zelo nell’applicazione della regola che vale a priori investe anche il dibattito della sinistra “internazionalista” fatto a pezzi dalla controversa mozione sulla lotta all’antisemitismo appena approvata al Bundestag che di fatto legalizza la repressione di ogni voce critica verso Tel Aviv e pare cucita su misura per tagliare i fondi alle Ong ebraiche anti-Nethanyahu, visto che la denuncia parte proprio da loro.

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