Appoggiamo l’impegno necessario per dire tutte e tutti insieme “ora basta” ai venti di guerra, alla corsa al riarmo, al genocidio a Gaza, per la giustizia sociale ed ecologica.
Pensiamo che fra le rivendicazioni poste in questo appello manchino alcuni punti indispensabili.
Chiedere il ripristino e l’applicazione del Diritto internazionale è giusto perché significa: stop immediato del genocidio in corso e ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, ripristino del normale accesso a Gaza degli aiuti umanitari, smantellamento delle colonie israeliane in Cisgiordania e dei muri che ghettizzano la stessa Cisgiordania e la Striscia di Gaza, diritto al ritorno dei milioni di profughi palestinesi nelle loro terre, fine dell’ apartheid su tutto il territorio israeliano e palestiese.
Nondimeno, un vago appello al Diritto internazionale non coglie la feroce sostanza storica e programmatica del sionismo (“una terra senza popolo per un popolo senza terra”) e del colonialismo d’insediamento isrealiano che prevede la costante spoliazione e l’espulsione degli indigeni palestinesi a partire da molto prima del 7 ottobre 2023. Nulla a che fare con la grande cultura e tradizione ebraica.
Pensiamo che appellarsi al diritto internazionale non sia sufficiente se non vengono poste in maniera chiara ed esplicita le rivendicazioni e le parole d’ordine che un movimento popolare contro la guerra e in solidarietà ai popoli oppressi, che si batte per la giustizia sociale e ambientale, ha il dovere di porre.
Queste rivendicazioni hanno il compito di indicare una prospettiva e degli obbiettivi di lotta chiari e indispensabili ad aprire un’effettiva possibilità di ripristino del diritto internazionale, che per essere effettiva deve avere la forza di contrapporsi al programma e alla pratica di lunga data del colonialismo d’insediamento sionista.
Vi proponiamo alcuni punti senza i quali NON ci sembra giusto e utile allo sviluppo della lotta firmare questo appello. Parteciperemo alla manifestazione portando queste proposte.
• Imposizione di un embargo totale di armi allo Stato israeliano e cancellazione immediata dell’accordo di cooperazione militare fra lo Stato italiano e quello isrealiano.
• Dure sanzioni economiche ad Israele, stop a tutte le importazioni, esportazioni e collaborazioni che abbiano implicazioni con l’occupazione e l’apartheid finché non verrà ripristinato il Diritto internazionale in tutte le sue implicazioni, prima fra tutte: l’autodeterminazione del popolo palestinese.
Sanzioni e embarghi che l’Occidente attua contro molti altri stati e che invece non attua contro uno stato che sta massacrando più di 35.000 civili, la maggior parte dei quali bambini e donne.
Per capire meglio quello che diciamo è utile storicizzare con degli esempi.
In questi giorni la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia (ONU) ha ordinato a Israele di sospendere immediatamente l’operazione militare in corso a Rafah.
La risposta del governo israeliano, dopo appena un’ora, è stata un bombardamento proprio su Rafah, con bombe molto probabilmente statunitensi.
Chi si ricorda che, fra tanti altri esempi, già nel 2004, vent’anni fa, la Corte Internazionale di Giustizia emise una sentenza sul Muro che Israele stava costruendo nella Cisgiordania occupata, e che coinvolgeva anche Gerusalemme est ?
All’epoca la Corte Internazionale aveva concluso che il Muro fa parte dell’illegale sistema israeliano di insediamenti e annessioni ed aveva chiesto a Israele di cessarne la costruzione, abbattere le sezioni già costruite e pagare risarcimenti per i danni causati alla popolazione palestinese. La Corte Internazionale di Giustizia aveva inoltre invitato la comunità internazionale ad adottare ulteriori misure volte a porre fine a questa situazione illegale e a garantire che Israele rispetti la Quarta Convenzione di Ginevra.
Ma già nel 2004 Israele ignorò completamente la sentenza della Corte Internazionale sul Muro, proseguì e concluse la sua costruzione, aumentò gli insediamenti coloniali sui Territori Palestinesi occupati. Senza subirne né pagarne le conseguenze.
È proprio in risposta a questa impunità, resa possibile dalla complicità anche del nostro governo italiano, che nacque nel 2005 la campagna internazionale dal basso di Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (Bds) contro Israele.
Non parliamo poi della Marcia del Ritorno nel 2018: manifestanti palestinesi pacifici uccisi e mutilati dai cecchini israeliani.
Intanto in questi giorni la stampa israeliana rivela il mega-progetto partorito dall’ufficio del primo ministro Netanyahu per il futuro della Striscia, una zona di commercio che colleghi Israele all’Arabia saudita: il piano «Gaza 2035» per la costruzione della «Gaza-Arish-Sderot Free Trade Zone».
Il rendering del piano imita Abu Dhabi o Singapore, si vede la costa di Gaza coperta di grattacieli, impianti a energia solare, navi container, impianti petroliferi offshore a perdita d’occhio.
Già nel dicembre 2023 era comparso il marketing di un altro progetto di costruzione di ville da sogno lungo la costa di Gaza, con tanto di rendering e nome dell’impresa.
Tutte queste realtà luccicanti dovrebbero sorgere sulle macerie di Gaza e sui cadaveri delle migliaia di palestinesi uccisi, dopo aver ripulito la Striscia da quelli che sono sopravvissuti.
Ecco un esempio concreto che chiarisce che cosa sia il colonialismo d’insediamento.
Per opporsi a questa barbara ingiustizia con una solidarietà effettiva non può bastare un vago appello al Diritto internazionale e allo stop della vendita d’armi senza denunciare e lottare contro precise responsabilità e complicità.
Infine, anche per questo, proponiamo come indispensabile aggettivare la mobilitazione contro la guerra che compare nel titolo dell’appello: contro le guerre degli sfruttatori e degli oppressori, dei grandi capitalisti. Le guerre di liberazione dei popoli oppressi – come lo sono state la Resistenza italiana al nazifascismo, la guerra del Vietnam ecc. – affermiamo vadano sostenute. Lo stesso Diritto internazionale – a cui il testo per la manifestazione del prossimo 1 giugno a Trento si appella – sancisce il diritto alla resistenza, anche armata, da parte dei popoli oppressi.
CONTROCULTURA: SPAZIO APERTO BE.BRECHT – TRENTO