UN ATTACCO APERTO ALLA PROCLAMATA DEMOCRAZIA FORMALE.

In tempi di guerra dei milionari si ricorre alla repressione violenta e sistematica del dissenso interno. Il DDL sicurezza del Governo Meloni in approvazione ce lo insegna.

I pm accusano i militanti di Askatasuna di associazione a delinquere, chiesti in totale 88 anni di carcere.

Reato mutato in «associazione a resistere» da un pezzo di città e movimento che si è stretto attorno ad Aska.

Askatasuna, centro sociale di Torino con sede dal 1996 in corso Regina Margherita 47.

GLI ATTIVISTI rigettano le accuse, anche i toni «sprezzanti» nei confronti di «compagni e compagne del centro sociale Askatasuna, del movimento No Tav e dello Spazio popolare Neruda», e lamentano «l’intento dell’accusa di stravolgere il significato profondo di ciò che in un contesto democratico sarebbe riconosciuto come la legittimità del dissenso e del conflitto sociale».

Aggiungono: mentre nelle aule di tribunale si reprime il dissenso popolare “La mafia, che in Valsusa è davvero presente, sta procedendo indisturbata nella costruzione del Tav, in barba alle innumerevoli inchieste, come dimostra l’interdittiva a Cogefa» su cui ci sarebbe l’ombra della ’ndrangheta.

E spiegano: «Pensare che esista una componente sociale pronta a mettersi in gioco per cambiare l’esistente e che abbia l’ambizione di essere di massa diventa prova di organizzazione criminale. Pensare che una lotta trentennale contro il Tav sia un esempio per altre lotte diventa prova di reato associativo. Pensare che ci siano persone che hanno delle competenze a disposizione della lotta implica una prova di eterodirezione. Pensare che ci sia una collettività diventa prova di reato associativo».

Al termine dell’udienza dai banchi è stata intonata Bella Ciao. A gennaio le ultime udienze, a cui seguirà la sentenza di primo grado.

Difronte alla repressione le differenze di valutazione in alcune circostanze ovviamente decadono.

Compagne e compagni, la nostra più completa solidarietà.

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