Intervento per la manifestazione del 25 aprile 2024

Oggi 25 aprile 2024 siamo scesi in piazza per onorare la memoria della resistenza, delle partigiane e dei partigiani che si batterono contro la barbarie e l’occupazione nazifascista.

Vogliamo farlo cominciando con il ricordare una storia, la storia di una banda partigiana, oggi più che mai esemplare, la banda Mario.

La banda Mario fu uno dei primi gruppi della resistenza marchigiana. Nelle numerose foto dell’epoca compaiono tutti insieme, donne e uomini, italiani, croati, serbi, inglesi, sovietici, ma anche somali, eritrei ed etiopi, uniti contro l’occupazione nazifascista e sotto la guida dell’antifascista istriano Mario Depangher, per molti anni prigioniero al confino. È soprattutto la presenza di uomini, e donne, africani a caratterizzare la “banda Mario”. Provenivano dalle colonie italiane in Somalia, Eritrea ed Etiopia ed erano arrivati in Italia nel 1940. Erano stati portati a Napoli per la Mostra delle Terre italiane d’Oltremare voluta dal fascismo proprio per mostrare al mondo le proprie conquiste coloniali e far sentire agli italiani il “senso del proprio dominio”. Allo scoppio della guerra la mostra chiude i battenti e gli africani vengono portati come prigionieri nella località di Treia, nelle Marche.

Furono tre coraggiosi africani, Abbagirù Abbauagi, Scifarrà Abbadicà e Addisà Agà, a dare il via all’esperienza dei “partigiani stranieri”. Tra la proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre del 1943, e il 25 ottobre dello stesso anno, infatti, i tre fuggirono da Villa Spada e, percorrendo circa 30 chilometri tra strade di campagna e boschi, raggiunsero il San Vicino, per unirsi alla “banda Mario”. Fondamentale per sfuggire a fascisti e nazisti fu l’appoggio della popolazione che, presumibilmente, guidò i tre verso i nascondigli dei partigiani. Nessun travestimento, infatti, sarebbe andato a buon fine visto il colore della loro pelle. L’arrivo di etiopici ingrossò le file della banda, che in poche settimane aveva assunto i connotati di battaglione, coltivando ancora di più il carattere multietnico del gruppo.

Gli italiani, nonostante l’educazione impartita durante il ventennio fascista, non ebbero alcuna difficoltà a riconoscere in loro un fratello e un compagno di lotta.

La banda torna così alla località in cui erano imprigionati gli altri africani e li liberano. Almeno altri 10 africani si unirono al gruppo guidato da Depangher, tra cui anche una donna. Erano Mohamed Raghè (Ragha Macamed in altri documenti), Thur Nur (Thor Nur in altri documenti), Macamud Abbasimbo (Muhamuti o Mohamed in altri documenti), Bulgiù Abbabuscen (Bulgù in altri documenti), Cassa Albite (Cassa Abite in altri documenti), tale “Gemma fu Elmi”, e Abbamagal Carlo. Alcuni erano ex militi della Pai, la Polizia dell’Africa italiana, ma fu il senso dell’onore, del giusto, a farli passare dalla parte della resistenza.

Molti di loro morirono nella lotta di liberazione. Tra questi anche Carlo Abbamagal, ucciso il 24 novembre 1943 nel corso di una missione a Frontale di Apiro. Descritto come “piccolo, ricciuto, ilare e coraggioso”, “Carletto”, come veniva chiamato da molti, si fece avanti per primo e fu colpito da una raffica di mitra. Il corpo, portato a Valdiola, sede, appunto, di un comando partigiano, fu sepolto in zona dove ancora oggi una lapide ricorda l’impegno di “uomini e donne, provenienti da tutto il mondo” e l’atto eroico di Abbamagal “caduto per la libertà d’Italia e d’Europa”.

Oggi c’è una lapide a ricordarlo, nel cimitero di San Severino Marche. Vi si legge: “Nato ad Addis Abeba, morto sul Monte San Vicino.”

Abbiamo scelto questa storia, particolarmente bella, perché pensiamo abbia molto da insegnarci ancora oggi. Essa ci ricorda che la resistenza è stata, è e sarà internazionalista, anticolonialista e multietnica. Oggi, in tempi attraversati da feroci venti di terza guerra mondiale nucleare e dall’ avida oppressione dei colonialismi sui popoli colonizzati, ricordarci di queste storie della resistenza diventa essenziale per tutti noi che stiamo in basso e non abbiamo 5 bentley in garage a Montecarlo, un jet privato e rifugi antiatomici privati.

Il coraggio di quei somali, eritrei, etiopi, a cui era negato il diritto all’autodeterminazione dal colonialismo fascista e che combatterono nelle fila della resistenza ci ricorda che tutti i popoli oppressi hanno il diritto alla resistenza. Oggi ricordiamo tutte le nostre sorelle e fratelli palestinesi.

In Palestina negli ultimi 5 mesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano più bambini che in tutte le guerre nel mondo negli ultimi 4 anni. Una strage degli innocenti. Più di 34.000 sono i morti ammazzati civili. Sono state trovate fosse comuni nei due principali ospedali della striscia di Gaza. I bambini e i ragazzi palestinesi non torneranno a scuola forse per anni. Oltre l’87% di tutti gli edifici scolastici di Gaza sono stati danneggiati o distrutti. Tutte le università sono state distrutte. La maggior parte degli ospedali sono distrutti dai raid mirati che hanno colpito anche chiese e moschee. Ci sono stati attacchi ai corridoi sicuri al passaggio degli sfollati, chiusura dei valichi di frontiera per provocare carestia, intelligenza artificiale per anestetizzare il massacro.

Gaza sta venendo scientemente trasformata in un luogo inadatto alla vita.

I popoli oppressi e sfruttati hanno il diritto alla Resistenza.

Fermiamo il genocidio, giustizia e libertà per la Palestina!

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