La battaglia per la giustizia ambientale è inscindibilmente legata alla battaglia per la giustizia sociale, contro il neocolonialismo, contro un sistema in cui 26 miliardari hanno la ricchezza di 3,8 miliardi di persone.

Con meno del 4% del totale delle emissioni globali di gas serra globali, l’Africa è il continente che meno di tutti contribuisce alla crisi climatica in corso.

Ma, come in un mortale paradosso, è anche il continente che più di altri ne subisce i drammatici effetti: la perdurante siccità in Corno d’Africa e il fenomeno del ciclone El Niño in Africa meridionale, le sempre più intense stagioni delle piogge che in Africa occidentale e centrale lasciano intere città sott’acqua per settimane ma anche fenomeni più pop e instagrammabili, come le intense piogge nel Sahara marocchino di quest’autunno, sono tutti fenomeni che fanno parte dello stesso problema.

Cartina al tornasole di una crisi climatica che ha ricadute globali diseguali, almeno tanto quanto diseguale è il sistema economico che questo problema l’ha creato.

È il sistema capitalistico

Augustine Njamnshi cofondatore dell’Alleanza Panafricana per la Giustizia Climatica (Pacja), che riunisce duemila organizzazioni della società civile, ha sintetizzato a Le Monde Afrique la frustrazione vissuta alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Clima Cop29 a Baku: «Questo accordo non serve i nostri interessi ma era questo o niente. Ci siamo trovati di fronte a un ricatto in cui gli europei, in particolare, hanno sfruttato l’arrivo di Donald Trump alla Casa bianca o l’ascesa dei partiti di estrema destra in Europa per farci capire che avevamo più da perdere che da guadagnare rifiutando l’accordo. Ancora una volta l’Africa e i paesi in via di sviluppo si sono trovati con le spalle al muro».

La battaglia per la giustizia ambientale è inscindibilmente legata alla battaglia per la giustizia sociale, contro il neocolonialismo, contro un sistema in cui 26 miliardari hanno la ricchezza di 3,8 miliardi di persone.

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