L’ARCHEOLOGIA AL SERVIZIO DEL COLONIALISMO D’INSEDIAMENTO ISRAELIANO

Ci scusiamo l’articolo è un po’ lungo ma ne vale la pena. Ringraziamo Francesca Luci.

La morte di un archeologo israeliano, avvenuta la settimana scorsa durante uno scontro con militanti di Hezbollah in un’area situata a sei chilometri dal confine con il Libano, nella pianura costiera meridionale, ha suscitato molte preoccupazioni tra i libanesi e sollevato interrogativi sulle intenzioni di Israele.

Zeev Erlich, archeologo 71enne, armato, equipaggiato con protezioni e vestito con abiti in stile militare, era al seguito dell’esercito israeliano.

OLTRE ALL’ARCHEOLOGO, è stato ucciso anche un sergente israeliano. L’esercito ha dichiarato che Erlich era entrato in Libano come civile, ma si era unito alla Brigata Golani e, in compagnia del capo di stato maggiore della Brigata, Yoav Yarom, si era recato a esaminare un’antica fortezza situata vicino a una moschea su un’alta cresta, dove si ritiene fosse il luogo di sepoltura di un discepolo di Gesù, Simone lo Zelota.

Erlich era un noto esponente del movimento dei coloni e aveva condotto controverse ricerche archeologiche nei Territori occupati. Diversi gruppi di coloni, a partire dal più noto, Nachala, lo hanno ricordato come «pioniere della colonizzazione» e ringraziato per il libro Gaza since and forever: the history of Gaza’s Jewry.

Israele ha sempre fatto ricorso a evidenze archeologiche che documentano la presenza di comunità ebraiche in Palestina fin dai tempi biblici per affermare la propria legittimazione storica e identitaria nella regione. Tuttavia, le scoperte archeologiche sono state utilizzate come base per giustificare espropri di terre, case e proprietà palestinesi, riscrivendo la memoria storica.

Michael Freund, ex vice direttore delle comunicazioni nell’ufficio del primo ministro israeliano, ha scritto sul Jerusalem Post: «La verità è che l’attuale confine tra Israele e Libano (…) è del tutto artificiale, una reliquia di un tempo in cui i colonialisti europei tracciavano capricciosamente delle linee sulle mappe, sorseggiando una bottiglia di brandy in stanze piene di fumo. Storicamente parlando, il Libano meridionale è in realtà Israele settentrionale, le radici del popolo ebraico nella zona sono profonde».

ISRAELE HA TENTATO a lungo di appropriarsi o di cancellare il patrimonio culturale palestinese per stabilire un legame storico con la terra e sostenere la sua narrazione di proprietà esclusiva, punto cruciale dell’ideologia fondante di Israele.

Un esempio non lontano è quello di Sheikh Jarrah e Silwan a Gerusalemme est, dove il processo di acquisizione del controllo è stato portato avanti con l’iniziativa, l’incoraggiamento, il sostegno, i finanziamenti e la protezione delle autorità, sia a livello nazionale che municipale.

Da cui la preoccupazione che monta in Libano: «Siamo angosciati. Gli israeliani non molleranno mai, non possiamo fidarci di nessun organo internazionale – dice a un noto quotidiano nazionale italiano Wassim Hamzeh, ingegnere agrario residente a Nabatiyeh, nel sud del Libano – Abbiamo visto quello che è successo a Gaza, nessuno li ha fermati. Amo la mia terra, che mi dà il lavoro, anche mio figlio sta studiando agraria. Ora sono preoccupato: ovunque sulle nostre terre, se gli israeliani troveranno un reperto che possono attribuire all’antica comunità ebraica, costruiranno un insediamento».

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